2014-05-13 14:52:28

Iraq. L'arcivescovo di Mosul: l’Occidente dimentica il dramma iracheno


"Siamo sicuri che la Chiesa di tutto il mondo prega per l'Iraq", ma l'Occidente e i suoi governi sembrano aver "dimenticato" il dramma che vive la sua popolazione; come se ormai "fosse normale sentire tutti i giorni di morti, attentati, violenze". Così mons. Emil Shimoun Nona, arcivescovo caldeo di Mosul, nel nord dell'Iraq, descrive all'agenzia AsiaNews il clima di un Paese e di una città in particolare, teatro di continui episodi di sangue, mentre la comunità cristiana si fa sempre più esigua.

"Non se ne parla più - continua il prelato - ma noi speriamo che si torni l'attenzione sul dramma irakeno, che sentano il nostro bisogno di pace e serenità: questo, più di tutto, è ciò che vogliamo". In passato proprio la diocesi di Mosul ha pianto la morte violenta anche dei propri pastori, fra cui il precedente vescovo mons. Faraj Rahho (nel contesto di un sequestro) e di padre Ragheed Ganni.

Assalti contro gli oleodotti sono una prassi comune nella zona di Mosul, circa 360 km a nord-ovest di Baghdad, perpetrati da gruppi legati ad al Qaeda e al jihadismo che seminano da anni morte e distruzione in tutta la nazione. Il tutto a spese delle minoranze, che non hanno alle spalle un sistema di potere o un movimento politico in grado di tutelarne gli interessi.

Mons. Nona riferisce che "la situazione non è cambiata di molto negli ultimi mesi, le elezioni non hanno rappresentato un grande passaggio", perché gli attentati "si ripetono quasi ogni giorno, così come le uccisioni". Talvolta le autorità applicano "il coprifuoco in città, l'esercito blocca le strade ed è difficile spostarsi da un punto all'altro" di Mosul e questo rende "ancor più difficile la vita della gente comune".

"La nostra comunità cristiana di Mosul - spiega mons. Nona - spera e prega che la società irakena possa maturare, sia in grado di accettare persone diverse, perché il dramma della convivenza e dell'accettazione dell'altro si fanno sempre più urgenti e difficili". Questo è il risultato, commenta, della mancanza di sicurezza, mentre il nostro obiettivo è la costruzione di una realtà sociale "che sia più aperta e moderata".

La risposta dei cristiani, continua l'arcivescovo, in molti casi continua a essere la fuga, in particolare "nelle grandi città, e la Chiesa non può fare molto". I leader cristiani si adoperano per risolvere alcuni elementi di difficoltà, spiega, ma è compito del governo irakeno risolvere le questioni più grandi e sciogliere i nodi irrisolti. "Per noi cristiani è importante essere presenti all'interno dello Stato, delle istituzioni, ma il numero dei fedeli - conclude mons. Nona - si fa sempre più esiguo; il pericolo maggiore è costituito dal fatto che quanti lasciano sono, nella maggior parte dei casi, persone istruite e benestanti, mentre restano i poveri, i più deboli, quelli che non hanno la possibilità di scappare". (R.P.)







All the contents on this site are copyrighted ©.