Clima teso tra Ue e Italia in tema di immigrazione. Il ministro dell’Interno Angelino
Alfano ha definito “tra il provocatorio e il ridicolo” le dichiarazioni del portavoce
del Commissario Malstrom che aveva chiesto all’Italia indicazioni più concrete sull’emergenza.
sono 17 i cadaveri recuperati dalla Marina dopo il naufragio del barcone carico di
migranti affondato ieri a 40 miglia dalla Libia. Alessandro Guarasci:
L’Italia
che chiede alla Ue di fare di più e Bruxelles che nega responsabilità. Il battibecco
che va avanti da almeno un mese si è riproposto anche oggi. Il portavoce della Commissaria
Cecilia Malmstrom, Michele Cercone, ha parlato di una lettera - spedita "in marzo
al governo italiano" ma rimasta "senza risposta" - in cui si chiedevano "indicazioni
concrete" su cosa Bruxelles avrebbe potuto fare in più rispetto a quanto già messo
in campo per l’emergenza immigrazione. Immediata la replica del ministro dell'Interno,
Angelino Alfano: "ci sono quattro indicazioni precise che noi abbiamo sempre dato
in tutti i contesti – ha detto Alfano – Dunque: assistenza umanitaria in Africa, Europa
direttamente coinvolta nel soccorso in mare, sede di Frontex in Italia, diritto d'asilo
non limitato al Paese di primo ingresso”. Alfano ha definito la presa di posizione
della Ue tra “il provocatorio e il ridicolo”, accusando la Ue di fare “scaricabarile”.
L’ultima tragedia del mare, ieri a largo della Libia dove si è ribaltato un barcone:
Oltre ai 17 corpi recuperati, 200 profughi tratti in salvo, mentre nella zona proseguono
le ricerche di eventuali dispersi. Oggi altre 295 persone sono state soccorse dall'operazione
Mare Nostrum nel Canale di Sicilia.
La richiesta di sostegno da parte dell'Europa
arriva anche da chi quotidianamente lavora al fianco degli immigrati che inoltre sollecita
l'apertura di canali umanitari. Lo ripete Oliviero Forti, responsabile immigrazione
di Caritas Italiana. Fabio Colagrande lo ha intervistato :
R.
– Io direi che non sia tanto "Mare Nostrum" ciò che va messo sul banco degli imputati,
quanto invece il fatto di non avere messo in campo, a livello europeo, un intervento
congiunto su un fenomeno che sta dimostrando una capacità, in termini di spinta e
di numeri, come forse mai prima nel passato. "Mare Nostrum" è certamente un dispositivo
importante, che auspichiamo rimanga anche nei prossimi mesi e che ha permesso fino
a oggi di salvare la vita a migliaia di persone, ma è chiaro che non può essere l’unico
dispositivo. Noi crediamo sia necessario, in questa fase storica, decidere veramente
cosa l’Europa abbia intenzione di fare, rispetto alle centinaia di migliaia di persone
che stanno fuggendo dai loro Paesi e che cercano protezione nello spazio europeo.
D. – La Croce Rossa, il Centro Astalli, voi della Caritas, tutti questi organismi
che si occupano d’immigrazione sembra siano d’accordo sul fatto che serva creare dei
canali umanitari. Cosa significa in concreto?
R. – Canali umanitari significa
decidere se queste persone invece di arrivare sul nostro territorio – quindi in Europa,
nei modi che noi conosciamo, e quindi con tutti i rischi connessi – potranno arrivare
in modo più sicuro, visto che comunque giungeranno. Noi dobbiamo acquisire la consapevolezza
che queste persone, in un modo o in un altro, raggiungeranno il nostro territorio,
perché chiedono protezione. Allora, l’Europa capisca fino in fondo se c’è la necessità
e la voglia di fare in modo che queste persone arrivino in sicurezza. Canale umanitario,
quindi, significa visti umanitari, significa fare in modo che nei Paesi di origine
e di transito si trovino quelle formule in grado di far giungere donne e bambini innanzitutto
in maniera sicura, evitando loro di rischiare la pelle, perché questo accade, in Italia
come in Grecia. Aprire, quindi, canali umanitari significa anzitutto fare delle scelte
politiche precise e noi stiamo aspettando questo.
D. – Sul Messaggero c’è un
articolo, oggi, dove si racconta che la strada del Marocco è vietata ai migranti per
la dura reazione della Guardia Civile spagnola, nella famosa enclave di Ceuta e Melilla.
Insomma, questo articolo ci fa pensare che se ci fosse una linea dura anche all’altezza
di Lampedusa, questi flussi diminuirebbero. Un suo commento...
R. – Non credo
proprio. Anche perché i trafficanti, e i migranti stessi, hanno una capacità di ridefinirsi
nel progetto e nelle rotte migratorie, che a volte stupisce e negli anni ci è stato
dimostrato. Quando ci fu la triste stagione dei respingimenti in mare, portati avanti
dal nostro governo, e per questo successivamente condannato dalla Corte Europea dei
diritti umani, i migranti comunque cambiarono rotte, che si fecero più lunghe e più
pericolose, passando attraverso la Turchia e la Grecia. Io quindi continuo a dire,
e ormai sono diversi anni, che la spinta verso condizioni di vita migliori, così come
la fuga da guerre e carestie, sono così forti, che chiaramente nessun dispositivo,
sia esso legislativo sia esso anche di polizia e di controllo delle frontiere, sarà
mai sufficiente. Almeno, questo è quello che abbiamo visto in questi anni. E non è
una considerazione di merito, è semplicemente una constatazione. Per cui, quello che
avviene in Spagna chiaramente intristisce, perché un governo come quello spagnolo
dovrebbe prendere coscienza, come ha fatto il nostro, di quello che sta accadendo
in Africa e quindi intervenire di conseguenza. Non lo sta facendo, speriamo che l’Europa
intervenga, per mettere fine appunto a pratiche che chiaramente vanno contro innanzitutto
i diritti umani.
D. – C’è chi dice anche che le "primavere arabe" nel Nord
dell’Africa abbiano reso impossibile trattare con i governi locali e in qualche modo
limitare le partenze, come ad esempio in Libia. E’ un altro dato realistico questo?
R.
– Sicuramente, le condizioni in cui si trova attualmente la Libia non favoriscono
alcun tipo di accordo che, però, chiaramente, come avvenuto in passato, serviva semplicemente
a trattenere queste persone in un Paese dove i diritti umani non venivano e non vengono
rispettati. Quindi sapere che queste persone non arrivano in Italia e quindi in Europa,
ma sono incarcerate, perché di questo si tratta, dentro prigioni libiche, con tutto
quello accade, perché sappiamo degli stupri verso le donne eritree o di altra nazionalità,
questo non mi tranquillizza assolutamente. Quello che io chiedo è che si trovi anche,
possibilmente in accordo con questi Paesi, il modo per riconsegnare un futuro decente
a queste persone.
Queste morti, si ripete, pesano sulla coscienza di tutti.
mons. Domenico Mogavero vescovo di Mazara del Vallo e delegato della Conferenza
episcopale siciliana per le migrazioni, al microfono di Gabriella Ceraso:
R.
- Credo che stiamo cominciando a diventare insensibili, perché l’unica ragione che
ci fa reagire è la quantità, i numeri: se muoino in 40 non ci facciamo più caso, se
sono 200 cominciamo a riflettere. Questo è gravissimo, perché significa che abbiamo
perso quel senso dell’umano, che ci fa solidali con chi soffre, uno o mille che siano.
D.
- Il governo, in queste ore, sta denunciando ancora una volta l’abbandono da parte
dell’Europa. E’ questo il punto?
R. - Io credo che una delle preoccupazioni
che stanno davanti ai governi in questo momento sia una questione di carattere economico
o di ordine pubblico o di sistemazione dell’emergenza. Credo che siamo incapaci di
valutare sotto il profilo di una lettura culturale del fenomeno e delineare prospettive
che camminino contestualmente alla gestione dell’emergenza: gli sbarchi che continuano
ci dicono che i respingimenti non sono sufficienti a fermare l’ondata di migrazioni;
che Mare Nostrum può evitare delle tragedie, ma non impedisce la prosecuzione del
fenomeno; che tutte le strategie che abbiamo fin qui escogitato, fino alle ingiuri
o agli insulti, non sono strumenti adeguati. Allora bisogna ripensare il discorso
in altri termini. Abbiamo messo queste persone nelle mani dei trafficanti di uomini
e c’è un delitto contro l’umanità, perché queste persone pagano 2-3-5 mila euro per
un passaggio in un barcone nelle condizioni miserabili in cui vanno e con il rischio
della vita: e tutto questo ci lascia così, quasi freddi ed indifferenti. L’Italia
non può fare, davanti all’Europa, la figura di chi domanda soldi per risolvere un
problema: l’Italia deve farsi promotrice di una lettura e di una proposta di prospettiva
nelle quale tutta l’Europa possa essere impegnata: siccome fin qui abbiamo chiesto
soldi, è chiaro che appena apriamo bocca l’Europa dice “Vabbè, se ho i soldi, ti do
i soldi, purché taci”. Se invece noi pensiamo altro, se pensiamo cioè che pagando
il biglietto di aereo o il biglietto di nave - e quindi con accordo dei Paesi del
sud del Mediterraneo - si fa una scelta progettuale di tipo politico, allora probabilmente
sul fenomeno qualcosa potremmo fare. Liberalizziamo il mercato: purtroppo siamo arrivati
a dirci queste cose, che sono odiose. Ma finché siamo nelle mani di delinquenti che
profittano della necessità e del bisogno di chi deve fuggire dal proprio Paese, non
abbiamo altre chance.
D. - Quindi lei dice: si faccia il governo italiano portavoce
di una proposta onnicomprensiva?
R. - Certo, perché comunque al centro di questa
situazione ci siamo noi. Sulle coste del Mediterraneo - che non è il confine sud dell’Europa,
è la porta dell’Europa - ci siamo noi: quindi noi siamo i primi responsabili di una
diversa visione delle cose e dobbiamo essere i primi formulatori di proposte che siano
veramente efficaci nella interpretazione del fenomeno migratorio e nella possibile
soluzione, sotto il profilo umanitario e quindi del rispetto dei diritti e delle dignità
delle persone, del movimento migratorio stesso.