2014-05-12 15:20:00

Profughi siriani in Libano. Caritas: testimoniamo il dialogo


Partita la campagna elettorale per le presidenziali del 3 giugno, organizzate dal presidente Bashar al-Assad, la Siria rischia di dover far fronte ad una nuova emergenza umanitaria. Da otto giorni Aleppo, nel nord del Paese, è senza acqua corrente a causa di un blocco imposto da miliziani qaedisti operativi nella zona. Soltanto oggi, il servizio idrico è tornato a funzionare a tratti e in alcuni quartieri. In questo quadro, si aggrava anche l’emergenza sfollati e profughi: dopo tre anni di guerra, con un bilancio di oltre 150 mila vittime, l’Onu ha fatto sapere che sono ormai 6 milioni e mezzo gli sfollati all’interno della Siria e più di 2,6 milioni i siriani rifugiatisi negli Stati limitrofi. All’inizio di aprile, se ne contavano oltre un milione in Libano. Per questo Paese, nei giorni scorsi il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha lanciato un appello ad aumentare gli aiuti destinati alla crisi. Sulla situazione dei profughi siriani in Libano, ascoltiamo padre Paul Karam, nuovo presidente di Caritas Libano e direttore delle Pontificie opere missionarie libanesi, intervistato da Giada Aquilino:

 

R. - La situazione è molto critica, perché il numero di profughi ha già superato il milione e sono sparsi in tutto il territorio libanese. Non come in Giordania, dove sono ospitati in campi, o come in Turchia. Tutto ciò porta delle conseguenze. Anzitutto, a livello di demografia in questo Libano basato su diverse confessioni che vivono in libertà e in ottimo dialogo. Minaccia anche l’aspetto della sicurezza, perché sono aumentati gli atti di delinquenza, ma minaccia anche l’aspetto economico, perché su un territorio piccolo com’è, appunto, quello del Libano più di un terzo, forse arriviamo anche ad un quarto, della popolazione è composto da stranieri, da profughi. E dunque acqua, elettricità, cibo… tutto manca. Senza poi parlare dell’aspetto sanitario, anche perché si sono verificate ultimamente delle malattie che nella nostra quotidianità avevamo ormai dimenticato. Sono malattie legate al non mangiare bene e alla mancanza di igiene.

 

D. - Qual è allora l’assistenza della Caritas Libano e come opera?

 

R. - E’ una situazione critica, perché non abbiamo tutto il materiale necessario per operare bene. Ci mancano alcune cose: a livello sanitario, ci mancano alcune medicine e non abbiamo sufficienti medici per far fronte a tutti coloro che vengono nei nostri centri sanitari. Abbiamo bisogno poi di kit alimentari e kit igienici. Questo nostro impegno cerchiamo di portarlo avanti soprattutto grazie all’aiuto dei nostri benefattori, così come con l’aiuto di alcune associazioni.

 

D. - Tra l’altro, il Libano accoglie anche altri profughi, ad esempio palestinesi…

 

R. - Sì. Abbiamo circa 500 mila palestinesi, che sono nel nostro territorio da più di 60 anni e questo per il processo di pace (israelo-palestinese, ndr) che non finisce mai, oppure che non vuole finire e dirigersi verso un cammino di pace, in cui ciascuno possa rispettare l’altro e accettare l’altro. La pace non si costruisce mai sull’odio: la pace si costruisce su un dialogo, quando si accetta l’altro e si rispetta soprattutto la libertà religiosa dell’altro.

 

D. - Si rispecchia questa esigenza di pace anche tra i profughi siriani che assistite?

 

R. - Stiamo per lanciare un campo estivo - ci saranno giovani libanesi e giovani siriani - per promuovere un dialogo di pace e per dare una vera testimonianza di come noi, come popoli che stanno vicini uno all’altro, Siria e Libano, possiamo promuovere al posto di questa guerra e al posto di questo conflitto una speranza nuova verso la libertà.

 

D. - Il Papa nella tappa in Giordania del suo prossimo pellegrinaggio in Terra Santa incontrerà una rappresentanza dei siriani, che sono fuggiti dalla loro patria per cercare un futuro migliore. Che incoraggiamento ne verrà?

 

R. - La figura di Papa Francesco è quella di un Papa che si impegna molto contro la povertà, contro la discriminazione, che favorisce il dialogo. Già guardare il suo comportamento e la sua testimonianza ci dà molta speranza. E la Chiesa del Libano ha una grande sfida: dire al mondo intero che il Medio Oriente e il Libano stesso hanno da dare anche un messaggio di amore, di speranza, di servizio e di testimonianza verso gli altri.








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