L'amministrazione Obama ha deciso di sostenere la richiesta di un'indagine della Corte
penale internazionale sui potenziali crimini di guerra compiuti nel conflitto in Siria.
Intanto dalla città vecchia di Homs è iniziato il ritiro dei ribelli, che la occupavano
da oltre due anni sotto l’assedio dei lealisti. Una complessa intesa al riguardo era
stata siglata nei giorni scorsi col regime. A questo proposito ascoltiamo Massimo
Campanini, docente di Storia dei Paesi islamici all’Università di Trento, intervistato
da Giada Aquilino:
R. – Bisognerà
aspettare un po’ di tempo prima di dare un giudizio definitivo. Indubbiamente, questi
avvenimenti sembrano testimoniare da una parte che i ribelli sono sulla difensiva
e che, quindi, la prospettiva di un rovesciamento di Bashar al Assad attraverso la
forza delle armi si allontana nel tempo e nello spazio. Dall’altra parte sembra potersi
trarre l’ulteriore conferma del fatto che, in qualche modo, Bashar al Assad ha continuato
a godere almeno di una parte di consenso, controlla le forze armate e, quindi, ha
in mano gli strumenti per sopravvivere. Del resto, bisognerebbe capire esattamente,
quando si parla di ribelli, di chi si parla: il fronte di opposizione ad Assad è molto
variegato, ci sono componenti molto diversificate che vanno dai laici ad al Qaeda
o ad altre organizzazioni jihadiste. In particolare queste organizzazioni jihadiste
non hanno certo interesse ad arrivare ad un’intesa con il regime, perché il loro piano
è quello di ‘balcanizzare’ la regione, partendo dal buco nero della Siria, con un
effetto potenziale di allargamento che evidentemente serve alla strategia dei gruppi
maggiormente estremisti e radicali.
D. – Homs nei tre anni di conflitto è stata
spesso indicata come ‘capitale della rivoluzione’. Ora cambia il suo aspetto?
R.
– Questa definizione di Homs come ‘capitale della rivoluzione’ può essere presa con
le pinze, con le molle, nel senso che non credo che proprio questa eterogeneità di
partecipazione dei gruppi ribelli al fronte di opposizione avesse una localizzazione
propria nel senso di erigere una città, nel caso specifico Homs, come reale alternativa
a Damasco, sede del potere di Bashar al Assad.
D. - A giugno le presidenziali
organizzate dal presidente Assad: come potrà realizzarsi secondo lei il voto in un
Paese, di fatto, ancora in conflitto?
R. – E’ ovvio che è anche una votazione
non è che possa garantire vere e proprie certezze democratiche. Non solo perché la
grande maggioranza dei siriani è preoccupata per la casa, la famiglia, il pane, il
lavoro, quindi indubbiamente queste elezioni possono interessare in maniera anche
relativa. Si tratterà probabilmente di un metodo attraverso cui Bashar al Assad si
può presentare sia all’opinione pubblica interna, sia agli osservatori internazionali
ancora come il ‘controllore’ della Siria.