Crisi ucraina: diplomazia al lavoro per una tregua in vista del voto di maggio
Diplomazia internazionale al lavoro per disinnescare la crisi ucraina. Cessate il
fuoco e monitoraggio di osservatori internazionali alle elezioni del 25 maggio ,è
la richiesta che arriva dal Consiglio d’Europa riunito ieri a Vienna, mentre il G7
di Roma sull’energia conferma a Kiev pieno sostegno in caso di criticità. Mosca rimane
scettica, mentre sul terreno è calma tesa nel sud est ucraino, dopo le oltre 30 vittime
tra i ribelli negli scontri di due giorni fa a Sloviansk. Il servizio di Gabriella
Ceraso:
Una
tregua probabilmente solo apparente quella di ieri a Sloviansk bastione dei secessionisti
nell’attesa dell’esito degli incontri diplomatici in corso in Europa. Oggi il presidente
di turno dell’Osce Burkhalter arriva al Cremlino dopo la tappa di ieri a Vienna per
il Consiglio d’Europa e l’appello lanciato per un cessate il fuoco, obiettivo, garantire
le elezioni presidenziali del 25 maggio. Se non si tengono sarà il caos prevede la
Francia, sostenuta dalla Germania, dal Regno Unito e soprattutto dalla Nato che accusa
la Russia di soffiare sul fuoco separatista dell’est e di discreditare il govreno
di Kiev. Ma Mosca respinge le accuse al mittente: è scettica sul voto mentre le forze
armate vengono utilizzate contro la popolazione, spiega il ministro degli Esteri,
Lavrov, ma è possibilista all’ipotesi tedesca di una Ginevra II, purchè, dice, sia
aperta all’opposizione, altrimenti tutto inutile. Ferma anche Kiev nei suoi propositi:
vuole legittimare la rivoluzione del Maidan e approfitta del Consiglio di Vienna per
chiedere l’aiuto di osservatori internazionali affinchè le presidenziali siano libere
e democratiche. Si rinsalda intanto ulteriormente il fronte Ue Usa sull’ipotesi di
sanzioni ulteriori contro la Russia nel caso di mancata collaborazione.
Molti
gli osservatori che temono il degradarsi della crisi, sullo stile di quanto avvenuto
in Siria e, prima ancora, in Iraq e Afghanistan. Giancarlo La Vella ne ha parlato
con Andrea Margelletti, presidente del Cesi, il Centro studi internazionali:
R. – No, direi
che siamo di fronte a realtà profondamente e radicalmente diverse, proprio perché
la crisi in Siria, ma soprattutto la crisi in Iraq prima o il conflitto in Afghanistan,
si svolgono in luoghi dove lo Stato centrale è estremamente debole o, in alcuni casi,
addirittura non esistente. Invece, nel conflitto che contrappone Mosca a Kiev abbiamo
due realtà statuali estremamente strutturate e con un controllo forte su tutti gli
apparati dello Stato e, direi, anche su quello delle milizie.
D. – E’ possibile,
secondo lei, che l’opposizione ucraina composta dal fronte filorusso sia infiltrata
da altri elementi, e quali?
R. – Direi di no. Potremmo vedere l’arrivo di mercenari
stranieri, però questi mercenari operano all’interno di regole ben chiare e stabilite
da chi li manda a chiamare e da chi li paga. Quindi, direi che ci troviamo di fronte,
semmai, a eserciti paralleli più che a milizie incontrollabili.
D. – Quale
evoluzione lei vede di questa crisi che pian piano sta coinvolgendo un po’ tutte le
realtà internazionali?
R. – Il vero problema è proprio l’utilizzo delle milizie,
perché esse sono in grado di fare azioni importanti per conto di qualcuno che rimane
coperto. Nel gergo vengono chiamate “negazioni plausibili”, ovvero il mandante può
sempre dire: “No, non è colpa nostra, sono state le milizie”. Loro rappresentano davvero
la wild card del conflitto. La speranza è una risoluzione della crisi ovviamente
diplomatica. Però, da quello che vedo in questi giorni e in queste ore, non ho la
sensazione che tutti abbiano la stessa buona volontà.
D. – Oltre a un dialogo
più efficace Mosca-Washington, che potrebbe risolvere la situazione, è importante
che partecipi qualche altro attore?
R. – Sarebbe importante che ci fosse l’Europa,
ma anche in questo caso, come in innumerevoli altri casi, lamentiamo un “fragoroso
silenzio” da parte di Bruxelles, dove invece sono proprio i Paesi europei a giocare
in questo caso un ruolo determinante. La speranza è che prima o poi tutti ci si renda
conto che da soli non si va da nessuna parte. Ma, in realtà, l’affermarsi sempre più
di movimenti antieuropeisti dimostra come in questo momento il Vecchio continente
sia un po’ in affanno.