Siria. Entra in vigore l’accordo su Homs, ma sul terreno è ancora violenza
Ora in Siria, dove non cessa la violenza tra oppositori al regime e militari. Scontri
anche tra gruppi jihadisti, mentre entra tra poche ore in vigore l’accordo di tregua
a Homs tra esercito e insorti. Roberto Piermarini:
L’intesa prevede
la fine dell’assedio e la messa in salvo di 2.250 persone, tra combattenti, civili
e feriti. In cambio, è previsto il rilascio da parte dei ribelli di una settantina
di prigionieri libanesi e iraniani detenuti ad Aleppo e l’accesso di aiuti umanitari
in alcuni villaggi sciiti della stessa zona settentrionale, rimasti fedeli al regime.
Mentre dall’Onu è arrivato un nuovo appello ai Paesi del mondo ad aprire le frontiere
ai siriani in fuga dalla guerra, proprio ad Aleppo una pioggia di razzi ha colpito
un quartiere sotto il controllo delle forze del regime, uccidendo almeno nove persone.
Sulla situazione in città, Giada Aquilino ha intervistato mons. Jean-Clément
Jeanbart, arcivescovo di Aleppo dei greco melkiti:
R. – La situazione
umanitaria è molto difficile, perché la gente soffre, sia a causa dei proiettili,
sia dei colpi di mortaio che cadono. Ieri, ho celebrato i funerali di un cinquantenne
con tre figli, ucciso nel magazzino nel quale lavorava in un quartiere cristiano:
è caduto un colpo di mortaio e l’ha ucciso. Ci sono diversi casi simili. Poi non c’è
acqua, il sistema elettrico è fuori uso, quindi abbiamo tantissime difficoltà. La
gente non ne può più, in particolar modo i cristiani, che pensano di scappare e andare
via e questo è ciò che ci preoccupa di più e che ci fa soffrire di più.
D.
– Si tratta di sofferenze comuni e, per così dire, “trasversali” a tutte le comunità?
R.
– Sì, per tutte le comunità. Io parlo in particolare dei nostri cristiani, con i quali
abbiamo contatti ogni giorno. Ma sì, riguarda tutti, musulmani, cristiani… I bombardamenti
si riversano su tutta la città, ma non sono bombardamenti aerei o di cannoni, ma colpi
di mortai, di razzi, che fanno molto danno e paura alla gente.
D. – Nelle ultime
ore, a Homs è stata raggiunta un’intesa tra le autorità di Damasco e i ribelli…
R.
– Sì, speriamo che sia così anche ad Aleppo…
D. – Secondo lei, la via per una
pacificazione del Paese può avvenire zona per zona, oppure ci dev’essere un accordo
globale?
R. – Ambedue. Un accordo globale e zona per zona: non possiamo aspettare
l’accordo globale, che richiederà tempo. Ma almeno zona per zona, che i civili e i
cittadini possano avere un po’ di tranquillità e sicurezza.
D. – Le autorità
di Damasco preparano le elezioni per il mese di giugno: qual è la situazione?
R.
– Credo che provino a pacificare le grandi città, per permettere alla gente di andare
alle urne.
D. – Ma secondo lei, il Paese in questo momento è pronto per andare
alle urne?
R. – Non si sa. Aleppo non è pronta, però sembra che Damasco sia
pronta. Latakia, Hama, Homs credo di sì. Ma Aleppo, con questa situazione, è un po’
pericoloso. Vediamo come si evolveranno le cose da qui al momento delle elezioni.
D.
– Oltre tre anni di guerra in Siria hanno già causato oltre 150 mila morti. Che immagine
di speranza si può avere per il futuro?
R. – Speriamo di avere un’immagine
di speranza. Però, io parlo in particolare di Aleppo: hanno distrutto tutte le fabbriche,
tutto quello che avrebbe potuto dare lavoro alla gente e che avrebbe potuto far vivere
la città, che è grandissima. Abbiamo perso il centro economico e industriale della
Siria. Noi soffriamo perché vediamo questa città, che era molto prospera, caduta ad
un livello di desolazione terribile. Comunque, abbiamo speranza per il futuro: sempre
un po’ di più, un po’ meglio, meno scuro.
Intanto è scontro tra le due formazioni
jihadiste più attive nel Paese: il fronte al Nusra, sostenuto da al Qaeda e lo “Stato
Islamico dell'Iraq e del Levante”, che ha ordinato al gruppo di ritirarsi in Iraq.
74 morti il bilancio degli scontri nelle ultime 24 ore.