Mons. Tomasi all'Onu: Chiesa sul fronte contro abusi, 848 sacerdoti ridotti allo stato
laicale in 10 anni
Un dialogo costruttivo in cui si sono potute fare precisazioni importanti: così mons.
Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso gli Uffici
Onu a Ginevra, definisce il suo intervento (martedì pomeriggio) in occasione del 52.mo
Comitato delle Nazioni Unite sulla Convenzione contro la tortura (CAT), in corso a
Ginevra. Mons. Tomasi ha risposto a diverse questioni, dopo il rapporto presentato
lunedì in cui aveva ribadito l’impegno della Santa Sede a combattere la tortura e
a difendere i diritti inviolabili della persona umana. Fausta Speranza ha parlato
con mons. Tomasi del suo intervento:
R. – Direi che
il punto più importante da fare entrare nella convinzione degli esperti è che la Chiesa
– da una parte la Santa Sede, nel suo campo, e le Conferenze episcopali e la Chiesa
in generale – da 10 anni è sul fronte per combattere contro ogni abuso sessuale sui
minori, per prevenire questo crimine, per aiutare le vittime e per punire anche chi
è colpevole. Quindi, non vogliamo che rimanga fossilizzata la percezione che la Chiesa
non abbia fatto abbastanza o che la Chiesa abbia cercato di evitare o che stia ancora
evitando di affrontare il problema: per questo è stato necessario portare anche dati
precisi che mostrano anche come l’attività, per esempio, della Congregazione per
la Dottrina della fede, che dal 2004 alla fine del 2013, ha ridotto allo stato laicale
848 sacerdoti, quanto sia seria la volontà di porre fine a questo crimine e di prevenire,
di fare il possibile per prevenirlo.
D. – Si parlava di interpretazione della
Convenzione sulla tortura e si è parlato di abusi sessuali: non c’è rischio di banalizzare
due tematiche così importanti, mettendole insieme?
R. – Con tutta la buona
volontà di voler focalizzare la discussione sull’aspetto giuridico della Convenzione
contro la tortura, la sua applicabilità sul territorio dello Stato della Città del
Vaticano, e di distinguere le responsabilità giuridiche da quelle pastorali, l’attesa,
l’aspettativa e il modo di affrontare la questione da parte degli esperti è stato
inevitabilmente quello del piano della pedofilia. Quindi, era in qualche modo previsto
che questo tema – che è legato all’interpretazione della tortura e del trattamento
inumano, che è parte della Convenzione contro la tortura – entrasse nel dibattito.
D.
– Ma c’è il rischio di una interpretazione non precisa o comunque un po’ fuorviante
della Convenzione sulla tortura?
R. – Il pericolo certamente c’è. Cioè, non
tutte le attività di abuso sessuale sono “tortura”, però c’è la Convenzione, all’art.
16, che dice chiaramente che il trattamento inumano e umiliante ricade sotto questa
Convenzione. E' quindi legittimo, da una parte, che gli esperti toccassero questo
tema, e, dall’altra, bisogna insistere sul fatto che si debba rimanere all’interno
dell’interpretazione del testo secondo la Convenzione di Vienna sui Trattati, e cioè
di non aggiungere crimini nuovi che non siano elencati nella Convenzione stessa, e
di fare in modo che la chiarezza di distinzione tra la Convenzione dei diritti del
fanciullo, per esempio, e questa, rimangano in piedi. Del resto, tutti i chierici
vengono considerati come responsabili, legati alla giurisdizione della Santa Sede,
anche se questa influenza della Santa Sede sul clero in Paesi come Stati Uniti
o Italia o Irlanda non è legale, perché solo lo Stato in cui questi vivono può perseguire
e portare in tribunale colpevoli di crimini contro i minori; nonostante tutto questo,
io penso che si debba accettare un po’ la questione per come è stata posta.
D.
– Venerdì Ban Ki-moon, segretario generale delle Nazioni Unite, sarà dal Papa. Assume
un particolare significato, anche a livello mediatico, questa visita dopo il dibattito
di questi giorni?
R. – E’ probabile che i mezzi di comunicazione leghino questi
due eventi. Però, alla radice c’è – mi pare – la volontà della Santa Sede e della
Chiesa, come dice il Vaticano II nella “Gaudium et Spes”, di essere protagonisti,
di essere attori, persone e istituzioni presenti nel contesto internazionale, per
poter avocare, per poter promuovere il bene comune. E da questo punto di vista, la
visita di Ban Ki-moon in Vaticano, con i capi, i direttori generali di alcune delle
agenzie delle Nazioni Unite che sono qui a Ginevra, è parte di questa storia e di
questo stile di presenza della Chiesa nella comunità, nell’arena internazionale. Questa
presenza è legata alla sua missione: di evangelizzare e di costruire una famiglia
umana unita, rispettosa della dignità di ogni persona.