2014-05-01 14:40:47

Primo maggio, i sindacati italiani: basta impoverire il Paese. Mons. Bregantini: tre riforme subito


Primo maggio di cortei e comizi in Italia. Protagonista l'"allarme lavoro", come lo ha definito il presidente Napolitano che ai sindacati chiede un ruolo nuovo. Dal canto loro Cgil, Cisl e Uil, si appellano al premier Renzi per un cambio di marcia che dica basta all'impoverimento del Paese. A Torino scontri tra antagonisti-noTav e polizia. Il servizio di Paola Simonetti:RealAudioMP3

Ricerca di soluzioni solidaristiche, innovative, coraggiose e determinate. Il capo dello Stato Napolitano ai sindacati chiede una rinnovata partecipazione al cambiamento del paese, sul fronte di quello che ha definito l"allarme lavoro", un capitolo che necessita, ha aggiunto il presidente, "il massimo di reazione in termini di riforme, politiche pubbliche, impegno di imprese ed organizzazioni sociali". Sullo sfondo un'Italia in piazza, fra cortei e comizi che si sono svolti a Milano, Piombino, Torino e Pordenone dove si è levato l'appello forte al governo da parte dei leader di Cgil, Cisl e Uil. Invitano il premier Renzi a compiere una svolta ad una politica che scarica, ha dichiarato il segretario della Cgil, Camusso, i costi sui lavoratori e sui pensionati, che non ha creato posti di lavoro e che continua a impoverire il Paese". Bonanni della Cisl aggiunge: basta "teatrini", servono "progetti chiari e trasparenti". Ma Renzi, dal canto suo, difendendo l'operato dell'esecutivo, sottolinea come per far sfumare "l'emergenza del non lavoro" accorra non un intervento dall'alto, ma un concorso partecipato di idee", dimezzando i tempi della politica tradizionale, delle infinite trattative e della burocrazia. E intanto idee, speranze e storie dei lavoratori sono passate attraverso le note del tradizionale concertone di San Giovanni a Roma e quello di Taranto organizzato dal Comitato Cittadini e lavoratori liberi e pensanti.

I vescovi italiani hanno diffuso per l’occasione un messaggio in cui affermano che senza lavoro non c’è umanesimo, ma invitano a conservare la speranza anche nella precarietà. Forte l’appello al governo a combattere la disoccupazione, soprattutto giovanile. Ma in questa situazione così difficile è possibile non perdere ancora la speranza? Marina Tomarro lo ha chiesto a mons. Giancarlo Bregantini, presidente della Commissione Cei per i problemi sociali e il lavoro:RealAudioMP3

R. – Se noi aspettiamo il mito di una situazione sistemata perfettamente, nel mondo di oggi, non potremo mai avere nulla di certo. Se invece nell’incertezza io pongo segni certi, coraggiosi, fiduciosi, mi accorgo che il Signore mi apre le strade e mi dà una mano. Cioè, anche nella precarietà si può vivere una dimensione di speranza più forte della precarietà stessa. Tu puoi già vivere diversamente quello che vivi: non più con un cuore di precario, ma con il cuore di chi ha dentro di sé un grande afflato, una grande forza e tanta speranza.

D. – Secondo lei, quanto le istituzioni potrebbero o dovrebbero fare di più per arginare queste situazioni?

R. – Moltissimo. Per esempio, ne indico tre. Una legislazione meno ferrea sul lavoro, in modo tale che anche un lavoretto precario di due giorni si possa comunque fare: un imprenditore, oggi, ha paura di tutto! Se noi riuscissimo a favorire … è vero che si può già fare molto, ma molto si deve fare ancora, per quanto riguarda il recupero di questi lavoretti quotidiani che ti permettono un po’ alla volta di “entrare”, e nella legalità, non nel lavoro nero! Molto, poi, bisogna aiutare i giovani – e quindi anche le imprese – con un apprendistato meno vincolante. Oggi, chi assume un apprendista ha mille timori, perché va incontro a notevoli difficoltà. Bisogna renderlo molto più agevole, anche con un aiuto economico da parte dell’Inps per i primi mesi … Cioè, fare in modo che l’essere introdotti al lavoro sia facilitato al massimo, sostenuto con la flessibilità necessaria ma contemporaneamente anche con la capacità di imparare autenticamente e bene un lavoro. Terzo elemento: ci si chiede se la riforma Fornero non debba essere ritoccata, perché ha spostato in avanti l’età degli anziani e ha di fatto bloccato i giovani. Mi chiedo, io, se nell’insieme la riforma non abbia sbilanciato il peso sociale globale della società e alla fine abbia escluso i giovani. Credo che si debbano fare passi diversi. Ecco le tre cose, cioè: la capacità del quotidiano, l’apprendistato e una riflessione diversa sulle pensioni.


Il messaggio dei vescovi italiani, dunque, invita all'azione e alla speranza, anche se sul fronte della disoccupazione giovanile restano drammatici i dati dell’Istat: sono 4 milioni 393mila i giovani senza lavoro. Cecilia Seppia ha raccolto il commento di Santino Scirè, vicepresidente delle Acli:RealAudioMP3

R. – Questo investimento nella speranza è un investimento per il Paese. Noi riteniamo, infatti, che questo primo maggio sia un primo maggio particolare, un primo maggio di festa, senza dubbio, ma anche di preghiera. Abbiamo chiesto alle parrocchie di pensare ad alcune Messe, mettendo al centro il tema del lavoro.

D. – E’ difficile, però, parlare di speranza di fronte a suicidi e ad imprese che chiudono. Guardiamo soltanto all’ultimo caso di Piombino...

R. – Il trend vede, comunque, un’impresa, soprattutto medio piccola o familiare, che ogni giorno, probabilmente, comincia a pensare, se non di chiudere, di rivedere la propria organizzazione e quindi di ridurre il personale. Rispetto ai dati, che ci vengono forniti anche da Union Camere, è evidente come ogni giorno, veramente, se non una ogni tre, almeno una ogni quattro imprese chiude. Bisogna vedere questi numeri, che sono legati sicuramente ai provvedimenti del governo, anche pensando e guardando a queste elezioni europee; immaginiamo una nuova strategia europea, che metta al centro il lavoro.

D. – Il decreto legge sul lavoro, voluto dal ministro Poletti, ha iniziato il suo iter parlamentare, non senza giochi di forza all’interno della maggioranza, ad esempio sul tema dei rinnovi per i contratti a termine. Ci sono altre misure sul tavolo, pensiamo al Job Act, al decreto garanzia giovani, con sgravi e incentivi appunto proprio per i ragazzi. Si sta procedendo nella giusta direzione?

R. - Ma, a mio avviso, comunque, questo provvedimento dà una scossa o comunque si comincia ad intravedere una particolare attenzione al mondo del lavoro. Ci piace soprattutto l’impostazione che guarda al lavoro legato ai giovani e alle donne. Quindi auspichiamo che ci sia in qualche modo qualche provvedimento, che dia veramente una scossa visibile in quei territori, laddove ormai la disoccupazione tocca numeri particolarmente importanti.

D. – Il tasso di disoccupazione è al 12,7 per cento. Secondo i dati Istat è ancora ai massimi storici: ci sono 4 milioni 393 mila giovani senza lavoro. Ormai ci stiamo abituando a queste cifre drammatiche...

R. – Ormai i dati sul mercato del lavoro e sulla disoccupazione sono sempre dati in rosso da qualche tempo, soprattutto nel Mezzogiorno e non solo. Noi abbiamo lanciato questa campagna, che parte proprio dal primo maggio e l’abbiamo denominata “la forza del lavoro per sconfiggere povertà e disuguaglianze”, perché questo è quello che crea la disoccupazione, in modo particolare quella giovanile, pensando soprattutto a meno sprechi e al dialogo con le forze sociali, per una politica economica che sia indirizzata a creare nuove opportunità occupazionali di qualità e quindi un nuovo sviluppo economico.

D. – Per uscire da questa crisi sul fronte lavoro servono formazione, coraggio e solidarietà reciproca. Questa è la ricetta che ci dà appunto la Cei. Si può fare molto in questo senso, soprattutto puntando alla formazione...

R. – Le parole chiave non solo le condividiamo, ma le facciamo già nostre. Contribuire, infatti, ad un lavoro libero, che sia creativo, partecipativo, solidale, può essere la strada giusta per riprendere un percorso di investimento. Non è vero che non ci si può inventare un lavoro, anche in un contesto complicato e difficile come quello che stiamo vivendo.







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