I medici dell'Ordine di Malta: a Lampedusa per salvare i migranti, 24 ore al giorno
Ci sono 83 minori, una decina i neonati, tra gli oltre 400 migranti sbarcati questo
primo maggio al porto di Trapani dalla Marina Militare, dopo essere stati soccorsi
in tre diverse operazioni a sud di Lampedusa. Tra loro vi sono eritrei, nigeriani,
siriani, tunisini, etiopi e maliani. I rifugiati, in buone condizioni di salute, saranno
ora smistati in diverse strutture di accoglienza dislocate nel territorio della provincia.
Negli ultimi tre giorni sono state oltre mille le persone soccorse nel canale di Sicilia.
Servizio di Francesca Sabatinelli:
Sono arrivati
in discrete condizioni di salute i migranti della notte scorsa, nonostante lo stremante
viaggio, nonostante spesso questi barconi siano avvistati e raggiunti quando ormai
mezzo allagati. Di mercoledì la segnalazione di un possibile caso di tubercolosi:
una donna somala, soccorsa dalla nave militare San Giorgio impegnata nell’operazione
Mare Nostrum, e subito condotta in ospedale. E’ a bordo di queste navi, San Giorgio
e San Giusto, che avviene il primo “triage sanitario”. Maria Grazia Mazza e Giada
Bellanca, sono siciliane, medici del Corpo Italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta,
si alternano a bordo e sulla terra ferma per dare assistenza sanitaria a chi viene
salvato, spesso lavorando ininterrottamente anche per più di due giorni. Maria
Grazia Mazza per due mesi è stata a Lampedusa da dove ha effettuato 15 uscite
di soccorso: “Queste persone – racconta – ti guardano con gli occhi di chi ha paura
di perdere tutto e di chi cerca la salvezza”:
R. - Quando incroci i barconi
e vedi una macchia di persone che si agitano chiedendo aiuto, quando riesci a farli
passare sulla tua motovedetta, la sensazione che provi nel metterli in salvo è meravigliosa;
è l’impatto umano che non è facile da gestire. La prima volta io sono scesa dalla
barca con le lacrime agli occhi perché mi sono confrontata con 38 bambini, di cui
uno di dieci giorni: un fagotto gigante avvolto in un piumino che neanche aveva peso!
E poi ci sono le mamme che ti ringraziano, quando ti prendi cura dei loro bambini.
E quando scendono dalla motovedetta ti guardano e ti ringraziano per averli aiutati,
quello non te lo scordi più! Poi alla fine si crea armonia sulla motovedetta: noi
lavoriamo tutti in simbiosi con i sommozzatori, con l’equipaggio, e poi alla fine
anche con queste persone che cercano di aiutarti a far ragionare gli altri, cercando
di farli stare seduti, di farli collaborare, di non farli muovere, perché gestire
anche fino a 120 persone sulla motovedetta non è facile! Stanno uno sull’altro e noi,
a volte, non abbiamo lo spazio neanche per poterci muovere, e hai bisogno della loro
collaborazione per poter far andare tutto a buon fine. E poi devo dire che sono loro
che ti regalano sensazioni particolari: io lavoro in un reparto di medicina d’urgenza,
sono abituata a vedere di tutto, però gli occhi delle persone, dei bambini, che vogliono
la tua attenzione, che ti guardano e ti salutano con la manina o che quando scendono
ti fanno il saluto militare, queste cose non te le scordi più.
Giada Bellanca,
medico trentenne, ha trascorso 45 giorni a bordo della San Giorgio e della San Giusto,
ed è sbarcata due giorni fa. Dopo un solo giorno di missione ha soccorso 1160 migranti,
si è confrontata con un decesso e due arresti cardiocircolatori, due giovani nigeriani
del 1993. “Li abbiamo salvati entrambi – ci dice – avevano i vestiti intrisi di carburante,
spesso accade in queste situazioni”. Queste persone, appena le trasporti sulla nave
- continua la Bellanca - chiedono una sola cosa: normalità.
R. – I migranti
… a me piace chiamarli, quando arrivano, “ospiti”, perché loro sono veramente ospiti
del gruppo impegnato nella Mare Nostrum. Questi migranti sono persone che fino a quando
hanno messo piede in quelle terribili imbarcazioni, in quei gommoni, erano persone
magari povere, sì, forse in situazioni sociali tremende, ma persone “normali”. Avevano
una famiglia, andavano a fare la spesa, andavano a portare i bambini a scuola, a lavorare,
facevano un progetto per la casa, cercavano un mutuo in banca … erano queste persone.
Come posso pensare di vederli in maniera differente da me? Quindi, queste persone
erano come me e potrebbero essere di nuovo come me.
D. – Voi avete visto arrivare,
soprattutto negli ultimi tempi, molti siriani. E ci sono molte famiglie…
R.
– I siriani si muovono in gruppi familiari, in grossi gruppi familiari. E le donne
hanno una forza d’animo impressionante. Arrivano gli anziani, i nonni, gli zii, i
cugini, tutti insieme, tutti in gruppo. Infatti, preferiamo collocarli in un’area
che è la zona “area familiare”, proprio per far fare gruppo a queste famiglie, per
non dividerle, soprattutto. Nella maggioranza dei casi ho notato che i siriani sono
tutti professionisti, medici, ingegneri, ho anche avuto il piacere di parlare, di
fare lunghe chiacchierate, con miei colleghi in Siria, chiedendo a volte anche consigli.
A uno di loro, che era odontoiatra, quasi ho chiesto un consiglio per il mal di denti
di un altro migrante! Grosse professionalità … e capisci: ci potevo essere io, al
posto suo. Arrivano anche da Gambia, Mali, Guinea Bissau, Costa d’Avorio, Congo, dall’Egitto,
da ogni parte, anche dal Pakistan, facendo un giro, immagino, pazzesco! Anche dalla
Palestina, piccoli gruppi e anche piccoli gruppi dall’Arabia Saudita. Arrivano da
tutte le parti! Ma quando vidi queste quattro persone chiesi loro immediatamente:
“Where are you from?” mi risposero: “Pakistan”, io le guardai e loro capirono che
li guardavo quasi a dire: “Ma come avete fatto?”. Mi sorrisero, per farmi capire:
“Ce l’abbiamo fatta!”, e poi mi chiesero “Ma dove siamo, qua?”, risposi: “Siete in
una nave ma siete in Italia”, hannol pianto, tutti e quattro. Quando ho detto loro:
“Siete in sicurezza, siete in Italia: benvenuti”, e “Inshallah”, è andato tutto tranquillamente.
D.
– Molti chiedono “dove siamo?”, perché non si rendono conto. E qual è la reazione
quando capiscono?
R. – La reazione è di felicità. Quando arrivano e vedono
la bandiera italiana, cominciano ad applaudire, cominciano a gridare, cominciano ad
essere contenti, fanno il segno dell’ “ok” … tutte queste cose, per la felicità. Perché
sanno di essere in Italia e sanno che noi siamo lì per la loro sicurezza. Loro lo
sanno.
D. – Non tutti però, si sa, vengono per stare in Italia …
R.
– Sì, però sanno che l’Italia è la porta d’Europa. Molti chiedono, per esempio, come
arrivare in Svezia, o in Germania, perché alcuni hanno nuclei familiari già lì. Quindi
è logico che la prima cosa che chiedano è questa: “Mia madre è in Inghilterra: come
faccio?”. Sono anche abbastanza informati, devo dire, su quello che può essere un
arrivo in Italia, indipendentemente dalla mancanza o meno di documenti. Noi però facciamo
capire loro che ci siamo per aiutarli e si tranquillizzano, si siedono, diamo loro
da mangiare. Tra le piccole merende e i tre pasti principali, sono cinque pasti al
giorno. Acqua sempre a disposizione, sali minerali, medicine, cure, tutto. Tutto,
24 ore su 24.
D. – A queste persone ci si lega?
R. – Sì. Si arriva a
legarsi perché è un tempo breve, ma è tanta la concentrazione di emozioni, di informazioni,
di lacrime, di sudore … bisognerebbe sentire l’odore che c’è là dentro! Non parlo
di un odore fisico: bisognerebbe sentire l’odore umano che c’è là dentro. E ti si
tatua dentro. Quando ricordi l’ingegnere siriano, il panettiere, quello che aveva
il bar, quello che mi ha detto: “Io sono un bravo parrucchiere, se vuoi ti faccio
le treccine” … te li ricordi! E non mi importa che si chiamino Mohammed o che si
chiamino Isaia, perché abbiamo anche avuto grossi nuclei eritrei copti, cristiani,
quindi non solo musulmani ma anche moltissimi cristiani. Per questo bisogna anche
capire le differenze, ad esempio nel periodo della Quaresima il cristiano – il copto
– non voleva mangiare, quindi abbiamo preparato pasti liquidi, e tutti gli altri hanno
capito. C’è il massimo rispetto, bisogna essere attenti a queste cose! Quindi … ci
si lega. Ci si lega alla loro croce di San Damiano, ci si lega al rosario islamico
che mi ha regalato un anziano e che io terrò sempre, perché è stato uno scambio di
rispetto, uno scambio di fedi … uno scambio di rispetto che per me è stato fondamentale
in quel periodo. Mi ha aiutato molto. Loro hanno aiutato me …