Sud Sudan. Allarme Onu per carestia e bambini soldato, 9 mila quelli sui due fronti
In Sud Sudan, oltre novemila bambini combattono tra le fila dei due schieramenti in
campo che si affrontano da metà dicembre. Questo l’allarme lanciato a Juba dall'Alto
commissario Onu per i diritti umani, Navi Pillay, nel denunciare i sanguinosi scontri
tra seguaci del presidente Salva Kiir e fedelissimi dell’ex vice presidente Riek Machar.
La rappresentante delle Nazioni Unite ha parlato inoltre di numerose donne e ragazze
violentate o rapite. Invocata poi nuovamente la fine dei combattimenti, per consentire
alla popolazione di seminare ed evitare il rischio di carestia e fame. Lo stessa esortazione
era arrivata poche ore prima dal segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, in una
telefonata allo stesso presidente, Salva Kiir. Sulla situazione in atto, Giada
Aquilino ha raggiunto telefonicamente a Juba Enrica Valentini, direttrice
della Rete delle Radio Cattoliche del Sud Sudan e dei Monti Nuba:
R. – A parte
i danni collegati ai combattimenti, la preoccupazione maggiore è per la popolazione
e per l’accesso al cibo. Fin dall’inizio della crisi, c’erano stati comunicati circa
tre milioni di persone a rischio di insicurezza alimentare. Negli ultimi rapporti,
compilati da varie organizzazioni che lavorano nel campo umanitario, le persone a
rischio di carestia e di insicurezza alimentare grave sono salite già a sette milioni.
Quindi, c’è la necessità di poter distribuire generi alimentari, semi, attrezzi per
coltivare e garantire un minimo di stabilità alle persone per poter poi lavorare nei
campi. Questa è la richiesta urgente: è un bisogno indiscusso per la popolazione.
Inoltre, l’avvicinamento della stagione delle piogge sta aumentando l’allarme. Diventerà
poi più difficile accedere alle zone paludose o alle strade che si interromperanno
proprio per le piogge.
D. – Perché gli scontri scoppiati a metà dicembre continuano
ad andare avanti? A gennaio era stato raggiunto un cessate-il-fuoco tra seguaci del
presidente Salva Kiir e fedelissimi dell’ex vice presidente Riek Machar…
R.
– Diciamo che è rimasto molto sulla carta e poco nella pratica. I combattimenti, fondamentalmente,
non sono mai cessati del tutto. Movimenti di truppe e scontri ci sono sempre stati
da gennaio ad oggi. Il governo e le forze in opposizione non sono disposti a perdere
zone chiave del Paese, zone dove ci sono i pozzi petroliferi. Perché il petrolio è
la maggiore risorsa del Paese.
D. – Gli scontri hanno esacerbato tensioni preesistenti?
R.
– Sì, la tensione generale che si è creata nel Paese porta le due tribù in causa,
Dinka e Nuer, a sentirsi potenziali obiettivi di scontri o di attacchi.
D.
- L’Onu parla anche di novemila bambini impiegati in questi combattimenti…
R.
– Non posso confermare o smentire queste cifre, però è indubbio che tra le forze in
combattimento ci siano molti giovani sotto i 18 anni. Informazioni ricevute da persone
che si sono trovate nei luoghi degli scontri riportano di molti ragazzi che combattevano
e tra l’altro in maniera molto feroce.
D. – Come Radio Cattoliche avete contatti
direttamente con la popolazione, in tutto il Sud Sudan: qual è la speranza della gente
per il futuro?
R. – La gente continua a chiedere la pace. I colloqui di pace
stanno per ripartire ad Addis Abeba e si spera che stavolta qualcosa si raggiunga
veramente. Ma, visti i precedenti, la gente non è poi così positiva sui risultati.
Però, ci sono molte iniziative che stanno venendo fuori sul campo, come momenti di
preghiera per la pace o, com’è successo qualche settimana fa, qui a Juba c’è stata
una giornata in cui artisti, musicisti, pittori, soprattutto ragazzi, si sono radunati
per esprimere la volontà dei giovani di portare la pace, di lavorare per la pace.