Repubblica Centrafricana, uccisi tre operatori Msf: "Situazione gravissima"
Sono stati uccisi durante una rapina a mano armata con una violenza immotivata: sono
i ventidue civili vittime dell’attacco di sabato scorso all’ospedale della città di
Boguila nel nord della Repubblica Centrafricana. Tra loro anche tre operatori di Medici
senza frontiere, la Ong che dal 1997 lavora nel Paese al fianco di feriti e profughi.
La strage durante una riunione per progettare nuovi aiuti umanitari: oggi però, scioccato
e rattristato dall'accaduto, lo staff valuta di lasciare l’area e si appella alla
comunità internazionale. Gabriella Ceraso ha intervistato il presidente di
Msf Italia, Loris De Filippi, da poco rientrato dal Centrafrica:
R. - È un atto
orribile che purtroppo non è isolato.
D. - 15 progetti in tutto il Paese. Dopo
questo episodio state però valutando addirittura se restare o meno. Per quali motivi?
R.
- Il primo è quello legato ovviamente alla sicurezza. È sempre più difficile lavorare
in un contesto in cui - nonostante la presenza dell’Unione Africana e dei soldati
francesi - ho visto un aumento delle violenze sia nella capitale Bangui che altrove
in questi tre mesi, non dico in modo esponenziale, ma quasi. In più, fra pochi giorni
- in parte è già iniziata - ci troveremo nella stagione delle piogge e questo favorirà
il fatto che alcune zone siano appunto isolate o difficili da raggiungere e di conseguenza
difficili da evacuare nel caso in cui ci siano degli attacchi.
D. - L’attacco
che c’è stato nel vostro ospedale a Boguila è stato anche a scopo di rapina…
R.
- È evidente che queste milizie hanno bisogno di rifornimenti e vedono strutture come
gli ospedali o comunque qualsiasi tipo di attività umanitaria come sorgente di ricchezza.
D.
- Lei è nella Repubblica Centrafricana da dicembre. Si è fatto un’idea non tanto del
conflitto, ma di quanto si possa fare ancora a livello internazionale per intervenire?
R.
- Credo che sia un Paese che si trova veramente in una situazione drammatica. Sono
rimasto molto sorpreso, rientrando in Italia, dal fatto che se ne parli pochissimo.
È una crisi gravissima, ci sono dei bisogni giganteschi, non solo nelle zone dove
c’è la guerra e servirebbe molto di più la presenza internazionale. Ora, i Caschi
blu arriveranno probabilmente a fine estate, e fino a quel momento, secondo me, rivedremo
situazioni analoghe a quelle che hanno vissuto i colleghi di Medici senza frontiere
sabato, proprio perché l’interdizione fornita dal Misca e dai francesi è insufficiente.
Da parte delle organizzazioni non governative ci vorrebbero molte più azioni, una
protezione migliore per gli operatori umanitari e una presenza sull’agenda internazionale
delle Nazioni Unite ancora più importante.
D. - E comunque, come Medici Senza
Frontiere avete chiesto subito dopo questo episodio a tutti coloro che combattono
almeno di rispettare la neutralità di chi opera in campo medico?
R. - Questo
ovviamente è l’imperativo dell’azione umanitaria... ma bisogna fare uno sforzo di
realismo tenendo conto del fatto che questa è una guerra terribile, perché le azioni
feroci perpetrate a una parte e all’altra hanno creato una situazione di non ritorno,
di violenze e di vendette ripetute. Da un lato, quindi, dobbiamo ovviamente sostenere,
gridare la necessità di continuare la nostra attività indipendente, neutrale, imparziale.
Ma dall’altra bisogna che qualcuno si prenda delle responsabilità e soprattutto che
la comunità internazionale pensi effettivamente in modo diverso, in modo ancor più
“robusto”. Gli sforzi fatti finora sono sicuramente insufficienti. La controprova
è quello che è accaduto sabato all’ospedale di Boguila e anche prima: i colleghi della
Croce Rossa internazionale 40 giorni fa sono stati uccisi nel nord del Paese in una
situazione analoga. Quindi, non è la prima volta e purtroppo mi sento di dire che
non sarà l’ultima.