La cerimonia di Canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II ha avuto un lungo
prologo fin da ieri mattina, quando centinaia di migliaia di persone si sono concentrate
nella zona di San Pietro, rimanendovi per tutta la notte, in attesa della Messa solenne.
Nel suo servizio, Alessandro De Carolis descrive i loro sentimenti e ripercorre
dal loro punto di vista i momenti salienti della celebrazione:
Si guardano
quasi, Angelo e Karol, l’uno di fronte all’altro, a pochi metri dalla stessa grande
finestra dalla quale 56 e 36 anni fa si affacciarono per schiudere alla Chiesa un
nuovo corso, l’uno immaginandola sotto la luna proiettata dal Concilio verso il terzo
millennio, l’altro accompagnandocela di persona senza avere paura. Si guardano quasi
e sorridono alla folla, giganteschi non solo nell’effigie che li ritrae, nel giorno
in cui i pochi i decenni che li hanno divisi in terra sfumano accanto all’altare che
li porta insieme in cima al cielo. Santi, Angelo e Karol, e il loro sorriso oggi è
il vero sole – l’altro è spento dalle nuvole – che illumina il grandioso bivacco di
fede tornato ancora una volta a pregare, vegliare e pazientare un’intera notte per
arrivare al giorno atteso da una vita e da tante vite.
Piazza San Pietro è
un abbraccio di marmo che si scalda quando in alto è ancora buio e il sorriso di Angelo
e Karol è una promessa nella penombra. La falange di pellegrini in prima fila si riversa
nel Colonnato seguita da un torrente controllato a fatica dagli argini di volontari
e Forze dell’ordine, mentre il rettilineo di Via della Conciliazione è una spina dorsale
ovunque brulicante di zaini e sacchi a pelo, di chitarre e rosari, di qualche inevitabile
problema e di gesti di solidarietà, universali anche nella babele di lingue e dialetti.
Dormire sui sampietrini o su letti di travertino è impresa per pochi in questa camera
lunga e senza soffitto, da dove il silenzio è bandito. Poi, l’alba arriva a riaccendere
il sorriso di Angelo e Karol e porta altre masse a premere sugli ultimi angoli a disposizione.
Finalmente, dopo le nove la zona dell’altare comincia ad animarsi. Arrivano e prendono
posto re e capi di Stato, le telecamere scrutano e individuano visi noti e strette
di mano. Quindi, ore 9.32, il primo applauso scuote Roma e la mondovisione: sul sagrato
appare la candida silhouette di Benedetto XVI.
Il terzo dei quattro Papi è
sulla scena di una giornata che è diventata storia prima ancora di essere cronaca.
Finché, l’arrivo sull’altare di Papa Francesco, al termine della lunghissima processione
di cardinali e presuli vestiti di bianco, completa l’affresco. L’applauso che accoglie
il Papa raddoppia alle 10.06, momento in cui, sotto il sorriso di Giovanni e Giovanni
Paolo, anche Francesco e Benedetto si sorridono e si abbracciano. E otto minuti più
tardi, alle 10.14, l’applauso esplode in ovazione: il cielo ha aperto le porte a Angelo
e Karol, Papi che furono docili a Dio nel secolo breve per aprire le porte a Cristo
in quello successivo.
Uno spruzzo di pioggia fa temere il peggio ma dura poco,
migliaia di ombrelli si aprono e chiudono, nulla a confronto col senso di solennità
che lo “Iubilate Deo” e il “Gloria” intonati dalla Schola fanno piovere nel cuore
di chi guarda il sorriso di Angelo e Karol e segue la celebrazione di Francesco accanto
a Benedetto. I maxischermi si riempiono dei primi e primissimi piani di Angelo e Karol
– e la piazza di applausi scroscianti – ogni volta che l’omelia di Papa Francesco
li chiama in causa. Per contrasto, desta impressione poco dopo il silenzio di cui
800 mila e passa persone sono capaci quando alle 11.33 l’Ostia consacrata viene innalzata.
Altri battiti di mani danno un ritmo di gioia ai tempi della liturgia che
volge alla fine e, al Regina Coeli, diventano un vero contrappunto alle parole
di ringraziamento che Papa Francesco rivolge a tutti. Il “Missa est” è pronunciato
alle 12.07 e le note a festa dell’organo che irrompono e danzano subito dopo sono
emblema dell’entusiasmo che la folla adesso può liberare. Angelo e Karol sono Santi
e continuano a insegnare, come già lo fecero, che la pace in terra è l’anelito profondo
degli uomini di tutti i tempi e che il Redentore dell’uomo è il centro del cosmo e
della storia. Certezze con le quali si può ripartire per Wadowice e per Sotto il Monte
e per il resto del mondo, in compagnia della certezza del loro doppio sorriso.