2014-04-27 08:51:08

Beatificazione di padre Girotti "martire per la carità" a Dachau


"Tutto quello che faccio è solo per carità". Così ripeteva il domenicano Giuseppe Girotti anche davanti ai suoi persecutori. A distanza di quasi 70 anni dalla morte nel lager di Dachau - riporta l'agenzia Agi - la Chiesa ha riconosciuto l'eroicità di questa sua carità vissuta sino al martirio. E ieri pomeriggio, nella cattedrale di Alba, la stessa dove venne battezzato il 30 luglio 1905 il card. Severino Poletto, in rappresentanza di Papa Francesco, lo ha proclamato Beato.

Durante l'omelia, il porporato ha riproposto le tappe principali della vita del nuovo Beato. "Educato in una famiglia ricca di autentici valori umani e cristiani - ha detto - cresciuto in una terra dove la fede era veramente il faro che orientava ogni esistenza, egli, entrato nell'ordine dei padri domenicani, si sentì da subito conquistato dalla Parola divina". E dalla lettura meditata della Scrittura e del Vangelo di Cristo, il beato "imparò ad amare e beneficare i fratelli, soprattutto i poveri, gli ammalati e specialmente i perseguitati per motivi razziali". In particolare, coloro che considerava i "fratelli maggiori": gli ebrei.

Padre Girotti, ha ricordato ancora il cardinale, "senza badare ai rischi ai quali si esponeva, si fece protettore" degli ebrei residenti a Torino e dintorni, specialmente quando i nazisti e i fascisti li ricercavano per avviarli ai campi di concentramento. Proprio per questo suo aiuto agli ebrei fu condannato a seguirne la sorte e venne internato il 29 agosto 1944 nel lager di Dachau, dove "consumò la sua vita vissuta sempre col dono quotidiano della carità, che costituisce il suo vero martirio". Fu ucciso il 1° aprile 1945, sette mesi dopo la sua cattura. Nella sua scheda personale conservata a Dachau si legge proprio che fu deportato perché "aiutava gli ebrei".

Il cardinale ha poi invitato a riflettere su un aspetto della vita spirituale del nuovo Beato: l'assiduo studio delle Scritture alimentato dalla preghiera. Grazie al pane della Parola, padre Girotti, pur nel lager di Dachau, non perse mai "la gioia e la serenità dello spirito". Era lui che "nutrendosi di preghiera assidua e partecipando ogni giorno all'Eucaristia che veniva celebrata alle 4 del mattino, coltivava la fraternità con i sacerdoti imprigionati con lui nella baracca 26, che, costruita per ospitare 180 persone, ne conteneva in quel momento più di mille, e riusciva con il suo carattere ilare a tenere alto il morale dei confratelli con la sua giovialità, frutto di un cuore limpido e immerso in Dio".

A questo va ad aggiungersi il suo anelito all'unità dei cristiani. "La divisione dei discepoli di Gesù - ha fatto notare il porporato - che via via si è consumata in varie epoche della storia era chiaramente rappresentata anche nella baracca 26 del campo di concentramento di Dachau, dove insieme erano prigionieri cattolici, ortodossi, protestanti e membri di altre confessioni religiose". In quel luogo di sofferenza, ha sottolineato il cardinale, il dialogo ecumenico "si realizzava in modo del tutto singolare", perché i prigionieri "si aiutavano vicendevolmente a portare la croce e a offrire all'unico Signore gli stenti, le malattie, il lavoro estenuante". (R.P.)








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