A Milano, arte antica e moderna per indagare il trascendente
“Oltre. Le soglie dell’invisibile”: è il titolo della mostra in corso a Milano fino
al 29 giugno, negli spazi espositivi delle Gallerie d’Italia-Piazza Scala, della Galleria
San Fedele e della chiesa di San Fedele. Il servizio di Giada Aquilino:
Un’esposizione
pensata per indagare il tema del trascendente attraverso un percorso che pone in dialogo
l’arte di varie epoche e connotazioni culturali. È “Oltre. Le soglie dell’invisibile”,
curata da padre Andrea Dall’Asta e Francesco Tedeschi e organizzata da Fondazione
Culturale San Fedele e Intesa Sanpaolo. Quarantadue le opere in mostra, di cui due
ideate appositamente per il progetto da Hidetoshi Nagasawa e Claudio Parmiggiani.
Ascoltiamo il padre gesuita Andrea Dall’Asta, direttore della Galleria San
Fedele:
R. – Si tratta di opere molto diverse fra loro sia per genere, sia
per epoca, nel senso che vanno dal Medioevo fino all’arte contemporanea, fino a opere
appositamente commissionate agli artisti. Sono 42 opere. Gli artisti sono Hidetoshi
Nagasawa, Ettore Spalletti, Mimmo Paladino, Lucio Fontana, Claudio Parmiggiani...
Ci sono opere antiche come per esempio ex voto, che vanno dal ’400 al ’900, ma anche
due splendide tavole, fondi oro, di scuola riminese e di scuola toscana, del XIV secolo.
D.
- L’esposizione è pensata per indagare il tema del trascendente. Cosa vuol dire oggi?
R.
– La mostra si chiama “Oltre. Le soglie dell’invisibile”. E’ pensata per indagare
il tema del trascendente attraverso la dimensione della soglia. Molto spesso siamo
abituati a considerare la dimensione ‘orizzontale’ dell’uomo, una dimensione puramente
terrena. Al contrario, la mostra vuole indagare la dimensione umana secondo la quale
l’uomo riesce a sollevare il proprio sguardo verso l’altro e l’alto, attraverso una
serie di modalità. Per esempio, con Mimmo Paladino, abbiamo una serie di splendidi
ex voto. In questo caso il divino si caratterizza come la possibilità dell’uomo di
rivolgersi verso un divino che è un ‘tu personale’: l’uomo di fronte alle dimensioni,
ai drammi, alle sofferenze dell’esistenza si rivolge a Dio nella richiesta di una
grazia. Ma divino è anche, per esempio, l’accostamento di splendide icone russe di
epoca medievale e rinascimentale con opere di Lucio Fontana: con “La fine di Dio”,
l’artista esplora, attraverso gli squarci sulla tela, la possibilità di attraversare
la pelle del mondo per raggiungere il divino, attraverso l’oltre della tela, in modo
tale che l’oltre della tela possa raggiungere il ‘qui e ora’ della vita dell’uomo.
D.
- Questo dialogo tra arte antica e arte contemporanea cosa produce di fatto nel percorso
espositivo?
R. – Produce una meditazione, una vera e propria riflessione sul
senso ultimo dell’esistenza umana: come la vita dell’uomo cerchi nella propria esperienza
la dimensione del trascendente. Questo è molto chiaro, per esempio, attraverso l’opera
che Claudio Parmiggiani ha realizzato esplicitamente per la mostra, la “Corona di
spine”, che è collocata nella chiesa di San Fedele sull’altare maggiore: riflette
sul tema del volto di Cristo che per Parmiggiani si concentra nello strumento del
suo supplizio e realizza così una “Corona di spine” che, al tempo stesso, è un ostensorio.
Vuol dire che la corona, che è simbolo di regalità, di gloria, del divino, nel caso
di Cristo è una corona di spine, vale a dire una corona nel suo contrario. E, nel
contesto dell’altare maggiore, diventa il passaggio dalla morte alla vita, considerando
che nella parte inferiore dell’altare sono conservate le reliquie di San Fedele e
Carpoforo, quindi il luogo della testimonianza, del dono della propria vita fino alla
morte. Attraverso il passaggio della “Corona di spine”, si giunge alla statua marmorea
della Risurrezione, dalla morte alla vita: quindi una “Corona di spine” che da strumento
di supplizio diventa un passaggio verso la gloria.