Pasqua in Centrafrica. Suor Elianna: lasciamoci il male e le sofferenze alle spalle
Anche il Centrafrica celebra la Pasqua, dopo oltre un anno di violenze, peraltro ancora
in corso in alcune zone del Paese: giovedì scorso un sacerdote cattolico è stato ucciso
nel Nord da miliziani vicini agli ex ribelli Seleka. La Repubblica Centrafricana -
lo ricordiamo - è piombata nel caos nel marzo 2013, quando i Seleka portarono al potere
Michel Djotodia, dimessosi a gennaio scorso per l’incapacità di fermare gli scontri
intercomunitari. A seguire, poi, sanguinose azioni da parte delle milizie anti-Balaka.
Sul significato della Risurrezione del Signore, ascoltiamo suor Elianna
Baldi, missionaria comboniana italiana impegnata nel campo educativo a Bangui
e direttrice delle Pontificie Opere Missionarie dell’arcidiocesi, intervistata da
Giada Aquilino:
R. – Vivere
oggi la Pasqua è, innanzitutto, ricordarsi cosa significava farlo un anno fa. Sono
infatti ancora molto vivi i ricordi di una città che era stata appena invasa, praticamente
il giorno delle Palme, da migliaia di ribelli che circolavano dappertutto e facevano
molta paura. Quindi quella dell’anno scorso è stata una Pasqua vissuta nel terrore,
nella mancanza della consapevolezza di quello che stava succedendo e di dove si sarebbe
andati a finire. Celebrare oggi Pasqua, quindi, per chi è ancora vivo, è farlo innanzitutto
con un sentimento di grandissima gratitudine per essere sopravvissuti a questa devastazione
del Paese. Certo, viverla a Bangui non è come viverla in altre zone del Paese, soprattutto
verso il nord, sulla strada che conduce verso il Ciad, dove ancora qualche giorno
fa la gente scappava nella foresta, coi movimenti dei soldati ciadiani che si stanno
ritirando e con la paura e il terrore che gli scontri tra anti-Balaka e ciadiani o
ex Seleka portino ancora morte.
D. – L’arcivescovo di Bangui, assieme all’Imam
presidente della Conferenza islamica centrafricana e al capo delle Chiese protestanti,
ha fatto un lungo giro all’estero per dire che nella Repubblica Centrafricana non
si sta combattendo una guerra di religione, ma un conflitto per il controllo del potere.
Perché?
R. – La stampa internazionale sta cercando di far passare questa idea
del conflitto di religione per giustificare un certo numero di azioni. Ma il conflitto,
veramente, è nato per il controllo del petrolio nel nord e di altre risorse del Paese.
E’ stata molto importante, quindi, questa azione riunita delle Chiese per mostrare
che qui i capi sono insieme e che anche il popolo non sta combattendo per motivi di
religione. Una prova ne è, per esempio, che domenica scorsa la Giornata diocesana
dei giovani, nella ricorrenza delle Palme, ha visto anche la partecipazione di una
rappresentanza di giovani musulmani, per cercare insieme di guardare avanti verso
un futuro di speranza per tutti.
D. – Papa Francesco, che ha più volte pregato
per la fine delle violenze in Centrafrica, chiede di accogliere la grazia della misericordia
di Dio, lasciando che poi la potenza del suo amore trasformi l’odio in amore, appunto,
la vendetta in perdono, la guerra in pace. Com’è possibile, a Pasqua, in Centrafrica?
R.
– Questo è il messaggio che ripetono anche tutte le nostre autorità religiose. La
realtà, però, è che i cuori delle persone sono molto feriti. Ora si parla, si discute
per creare la disposizione degli animi. Ci vorrà del tempo. E’ importante che il messaggio
sia chiaro, sia univoco e che aiuti le persone ad orientare lo sguardo verso quello
che è l’unico, possibile, sensato futuro: un futuro di convivenza e di pace. A tal
proposito, vorrei ricordare in questo momento l’episodio molto bello di un giovane
confratello ugandese che, uscendo un giorno per andare a prendere i medicinali per
i profughi della parrocchia, ha sorpreso dei giovani che stavano decidendo dove uccidere
una ragazza, accusata di essere una ‘spia’ di un’altra comunità. Lui, di cuore, ha
reagito, dicendo di non ucciderla e ha ricevuto una coltellata ad un ginocchio. E’
guarito, perché fortunatamente non è stata una cosa molto grave. Questo suo atto ha
salvato la vita alla ragazza, ha scosso anche i ragazzi che avevano premeditato di
attaccare un sacerdote e che sono poi andati pure a chiedere scusa. E’ stata una testimonianza
forte per il gruppo di giovani per il quale il sacerdote lavora. E’ stato questo un
segno di generosità, di amore, nella prospettiva pasquale di una pace vera, di un
desiderio di lasciare il male e la sofferenza alle spalle.