2014-04-20 13:58:02

Pasqua in Centrafrica. Suor Elianna: lasciamoci il male e le sofferenze alle spalle


Anche il Centrafrica celebra la Pasqua, dopo oltre un anno di violenze, peraltro ancora in corso in alcune zone del Paese: giovedì scorso un sacerdote cattolico è stato ucciso nel Nord da miliziani vicini agli ex ribelli Seleka. La Repubblica Centrafricana - lo ricordiamo - è piombata nel caos nel marzo 2013, quando i Seleka portarono al potere Michel Djotodia, dimessosi a gennaio scorso per l’incapacità di fermare gli scontri intercomunitari. A seguire, poi, sanguinose azioni da parte delle milizie anti-Balaka. Sul significato della Risurrezione del Signore, ascoltiamo suor Elianna Baldi, missionaria comboniana italiana impegnata nel campo educativo a Bangui e direttrice delle Pontificie Opere Missionarie dell’arcidiocesi, intervistata da Giada Aquilino:RealAudioMP3

R. – Vivere oggi la Pasqua è, innanzitutto, ricordarsi cosa significava farlo un anno fa. Sono infatti ancora molto vivi i ricordi di una città che era stata appena invasa, praticamente il giorno delle Palme, da migliaia di ribelli che circolavano dappertutto e facevano molta paura. Quindi quella dell’anno scorso è stata una Pasqua vissuta nel terrore, nella mancanza della consapevolezza di quello che stava succedendo e di dove si sarebbe andati a finire. Celebrare oggi Pasqua, quindi, per chi è ancora vivo, è farlo innanzitutto con un sentimento di grandissima gratitudine per essere sopravvissuti a questa devastazione del Paese. Certo, viverla a Bangui non è come viverla in altre zone del Paese, soprattutto verso il nord, sulla strada che conduce verso il Ciad, dove ancora qualche giorno fa la gente scappava nella foresta, coi movimenti dei soldati ciadiani che si stanno ritirando e con la paura e il terrore che gli scontri tra anti-Balaka e ciadiani o ex Seleka portino ancora morte.

D. – L’arcivescovo di Bangui, assieme all’Imam presidente della Conferenza islamica centrafricana e al capo delle Chiese protestanti, ha fatto un lungo giro all’estero per dire che nella Repubblica Centrafricana non si sta combattendo una guerra di religione, ma un conflitto per il controllo del potere. Perché?

R. – La stampa internazionale sta cercando di far passare questa idea del conflitto di religione per giustificare un certo numero di azioni. Ma il conflitto, veramente, è nato per il controllo del petrolio nel nord e di altre risorse del Paese. E’ stata molto importante, quindi, questa azione riunita delle Chiese per mostrare che qui i capi sono insieme e che anche il popolo non sta combattendo per motivi di religione. Una prova ne è, per esempio, che domenica scorsa la Giornata diocesana dei giovani, nella ricorrenza delle Palme, ha visto anche la partecipazione di una rappresentanza di giovani musulmani, per cercare insieme di guardare avanti verso un futuro di speranza per tutti.

D. – Papa Francesco, che ha più volte pregato per la fine delle violenze in Centrafrica, chiede di accogliere la grazia della misericordia di Dio, lasciando che poi la potenza del suo amore trasformi l’odio in amore, appunto, la vendetta in perdono, la guerra in pace. Com’è possibile, a Pasqua, in Centrafrica?

R. – Questo è il messaggio che ripetono anche tutte le nostre autorità religiose. La realtà, però, è che i cuori delle persone sono molto feriti. Ora si parla, si discute per creare la disposizione degli animi. Ci vorrà del tempo. E’ importante che il messaggio sia chiaro, sia univoco e che aiuti le persone ad orientare lo sguardo verso quello che è l’unico, possibile, sensato futuro: un futuro di convivenza e di pace. A tal proposito, vorrei ricordare in questo momento l’episodio molto bello di un giovane confratello ugandese che, uscendo un giorno per andare a prendere i medicinali per i profughi della parrocchia, ha sorpreso dei giovani che stavano decidendo dove uccidere una ragazza, accusata di essere una ‘spia’ di un’altra comunità. Lui, di cuore, ha reagito, dicendo di non ucciderla e ha ricevuto una coltellata ad un ginocchio. E’ guarito, perché fortunatamente non è stata una cosa molto grave. Questo suo atto ha salvato la vita alla ragazza, ha scosso anche i ragazzi che avevano premeditato di attaccare un sacerdote e che sono poi andati pure a chiedere scusa. E’ stata una testimonianza forte per il gruppo di giovani per il quale il sacerdote lavora. E’ stato questo un segno di generosità, di amore, nella prospettiva pasquale di una pace vera, di un desiderio di lasciare il male e la sofferenza alle spalle.







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