Sos Villaggi Bambini: in Siria, i bimbi vivono come seppelliti vivi per sfuggire alla
guerra
Una squadra di “Sos Villaggi dei Bambini” si è recata nei giorni scorsi in uno dei
quartieri di Aleppo più devastati dalla guerra civile in Siria. In un ambiente spettrale,
i volontari dell’organizzazioni umanitaria hanno scoperto un’umanità sotteranea,
composta da famiglie e soprattutto bambini costretti a vivere letteralmente come “sepolti
viti”. Alessandro Gisotti ha raccolto la testimonianza di Elena Cranchi,
portavoce in Italia di “Sos Villaggi dei Bambini”:
R. – Dovete
immaginare che, in questo quartiere di Aleppo, ci sono solo scheletri di palazzi.
Sembra un quartiere assolutamente fantasma: in realtà, nei seminterrati vivono intere
famiglie. Abbiamo incontrato questa bambina, Rayan, di 13 anni, che ha raccontato
una storia veramente incredibile: ha portato la nostra squadra in un seminterrato
dove, in una piccola stanza senza finestre, vivono 21 persone. E la bambina ha raccontato
la vita che svolge all’interno di questa stanza: bisogna pensare che gli scontri continuano
e quindi l’infanzia è davvero seppellita. E’ difficile l’accesso alle scuole, è difficile
uscire a giocare semplicemente con i compagni. La doccia non possono farla o perlomeno
se la fanno è considerato un momento di grande pericolo. Infatti, lei raccontava alla
squadra umanitaria: “Mia mamma dice sempre di fare poche volte la doccia, perché bisogna
mettere una bobina elettrica in questo barile di acqua e quando si mette la bobina
elettrica nessun bambino si può avvicinare, perché rischia di prendere la scossa".
E poi, racconti su che cosa mangiano. Lei diceva: "Io non chiedo più a mia mamma ‘che
cosa mi fai questa sera?’, come facevo tanto tempo fa, perché so che mangerò sempre
solo lenticchie". "Nonostante tutto – dice – io continuo a giocare fuori con i miei
amici, anche se poi non so perché, ma tutti noi diventiamo violenti, con i giochi".
Dice che la cosa più bella è poter andare a scuola, perché per lei, forse, la scuola
rappresenta l’unico momento di normalità. Però, per me andare a scuola è un incubo,
perché devo camminare a piedi 40 minuti per andare e 40 minuti per tornare e non ho
una cartella e quindi i libri li metto in un sacchetto di plastica e quando piove,
sono guai.
D. – A questi bambini, come a queste famiglie – da questo racconto
si capisce – è stata "rubata la normalità", quella normalità che a volte, invece,
annoia noi, da quest’altra parte del mondo, magari anche i nostri bambini?
R.
– Io stessa – noi stessi – leggendo queste storie e vedendo i nostri figli, vedendo
i nostri nipoti, non riusciamo neanche ad immaginare che questo possa veramente accadere.
Io penso che leggere o raccontare queste storie ai nostri figli, probabilmente potrebbe
essere utile per far capire che veramente, anche se ci sono bambini che soffrono dall’altra
parte del mondo, siamo tutti uguali, sono tutti nostri figli, sono tutti nostri fratelli
e sono tutti doni di Dio, no! Quindi, è una sensibilizzazione che voi, mass media,
potete aiutarci a dare: altrimenti, diventano storie, diventa seppellire ulteriormente
dei bambini che non hanno in questo momento né voce né la possibilità di evitare il
dolore perché sembra che in questo caso – ahimé! – il dolore dei bambini della Siria
non venga assolutamente considerato. Tanto che è una guerra che – hanno detto i giornali
– ha compiuto tre anni; e già pensare di “festeggiare” il compleanno di una guerra
è un ossimoro di per sé e probabilmente però questa guerra andrà avanti, perché non
ci sono segnali, in questo momento, di accordi che possano portare gli scontri alla
fine.