Rapporto Sipri: nel mondo si spendono in armi 330 mila dollari al minuto
Secondo il Rapporto annuale dello "Stockholm International Peace Research Institute"
(Sipri), nel 2013 le spese militari nel mondo sono state pari a 1.747 miliardi di
dollari, circa l’1,9% in meno rispetto al 2012. Alessia Carlozzo ha chiesto
a Maurizio Simoncelli, vicepresidente dell’Archivio Disarmo, un commento ai
dati del Sipri:
R. - E’ un
dato che in realtà non sorprende, perché da parte degli Stati Uniti in primis, ma
anche da parte dei Paesi dell’Europa negli ultimi anni, in seguito alla crisi c’è
stata una ristrutturazione, una riduzione delle spese militari. Però, purtroppo, questo
non è un dato che può consolarci particolarmente perché, se andiamo a vedere, rispetto
a questi Paesi che citavo ce ne sono altri invece che stanno incrementando le loro
spese militari e anche in modo significativo. Diciamo che nel resto del mondo sono
andate crescendo dell’1,8%: la Cina in particolare ha aumentato del 7,4%, la Russia
del 4,7%, l’Arabia Saudita addirittura del 14%. In Africa abbiamo avuto un incremento
dell’8,3%. Il quadro, per certi versi, non può che preoccuparci.
D. - Il Rapporto,
quindi, dimostra come il resto del mondo compri armi più di prima. E’ necessario un
ripensamento delle relazioni internazionali per bloccare la tendenza al riarmo globale?
R.
- Sicuramente. Per far sì che le spese militari non siano finalizzate a garantire
una sicurezza internazionale, che poi tale non è, certamente servirebbe invece un
potenziamento del ruolo delle Nazioni Unite, un potenziamento dei rapporti internazionali
tra i Paesi. L’attuale situazione in Ucraina, ad esempio, sicuramente è frutto di
un dialogo inadeguato tra, da un lato, Unione Europa e Stati Uniti e, dall’altro,
Russia. L’Ucraina notoriamente era un Paese di confine e il posizionamento in una
o nell’altra area non può che suscitare tensione ulteriore in un momento in cui i
rapporti tra Est e Ovest erano già abbastanza tesi. Nell’ambito delle relazioni internazionali,
occorre fare dei passi coraggiosi per creare misure di fiducia, mostrare fiducia.
Anche atti unilaterali di disarmo. Ci sarebbe bisogno di cercare di migliorare i rapporti
internazionali non con la minaccia delle armi, ma con azioni di tutt’altro genere.
Altrimenti ci troviamo con situazioni quali quelle attuali, in cui oggi noi abbiamo
una spesa di circa 4,8 miliardi di dollari al giorno, cioè 200 milioni di dollari
l’ora e circa 330 mila dollari al minuti… Per cui questa intervista che durerà 5-6
minuti, ci costerà - grosso modo - parallelamente un milione e 500 mila dollari. Quindi,
capiamo che è un sistema che va tutto ripensato a livello globale e non abbiamo altra
alternativa. Perché altrimenti qual è l’ipotesi? L’ipotesi è quella di una terza guerra
mondiale che - come sappiamo - non può essere vinta da nessuno, perché le armi nucleari
sono un gioco a somma zero, purtroppo.
D. - Dal Rapporto emerge un legame
tra crescita economica e aumento della spesa militare: una tendenza che risulta preoccupante
nei Paesi a più basso livello di sviluppo, come ad esempio nell’Africa subsahariana.
Crede sia necessario, in tal senso, rivedere le condizioni legate agli aiuti che questi
ricevono dal Fondo monetario internazionale o dalla Banca mondiale, sottolineando
la necessità di ridurre le spese militari?
R. - Sì. Alcuni Paesi dell’Africa
hanno aumentato enormemente le loro spese militari. Addirittura nell’ultimo anno,
il Ghana le ha aumentate del 129%, l’Angola del 36%, cifra analoga per la Repubblica
Democratica del Congo… L’intera Africa le ha aumentate dell’8,3%. Quindi, sono elementi
che non fanno che preoccupare in una situazione difficile qual è quella del continente
africano. Certamente, bisognerebbe spingere affinché questi Paesi investano soprattutto
sulla sicurezza economica, sulla sicurezza sociale, sullo sviluppo complessivo. L’aumento
degli armamenti, purtroppo, non può che destabilizzare a lungo andare il territorio,
perché inevitabilmente un Paese che si arma comporta un’analoga reazione da parte
dei Paesi vicini.