2014-04-17 15:40:15

Rapporto Sipri: nel mondo si spendono in armi 330 mila dollari al minuto


Secondo il Rapporto annuale dello "Stockholm International Peace Research Institute" (Sipri), nel 2013 le spese militari nel mondo sono state pari a 1.747 miliardi di dollari, circa l’1,9% in meno rispetto al 2012. Alessia Carlozzo ha chiesto a Maurizio Simoncelli, vicepresidente dell’Archivio Disarmo, un commento ai dati del Sipri:RealAudioMP3

R. - E’ un dato che in realtà non sorprende, perché da parte degli Stati Uniti in primis, ma anche da parte dei Paesi dell’Europa negli ultimi anni, in seguito alla crisi c’è stata una ristrutturazione, una riduzione delle spese militari. Però, purtroppo, questo non è un dato che può consolarci particolarmente perché, se andiamo a vedere, rispetto a questi Paesi che citavo ce ne sono altri invece che stanno incrementando le loro spese militari e anche in modo significativo. Diciamo che nel resto del mondo sono andate crescendo dell’1,8%: la Cina in particolare ha aumentato del 7,4%, la Russia del 4,7%, l’Arabia Saudita addirittura del 14%. In Africa abbiamo avuto un incremento dell’8,3%. Il quadro, per certi versi, non può che preoccuparci.

D. - Il Rapporto, quindi, dimostra come il resto del mondo compri armi più di prima. E’ necessario un ripensamento delle relazioni internazionali per bloccare la tendenza al riarmo globale?

R. - Sicuramente. Per far sì che le spese militari non siano finalizzate a garantire una sicurezza internazionale, che poi tale non è, certamente servirebbe invece un potenziamento del ruolo delle Nazioni Unite, un potenziamento dei rapporti internazionali tra i Paesi. L’attuale situazione in Ucraina, ad esempio, sicuramente è frutto di un dialogo inadeguato tra, da un lato, Unione Europa e Stati Uniti e, dall’altro, Russia. L’Ucraina notoriamente era un Paese di confine e il posizionamento in una o nell’altra area non può che suscitare tensione ulteriore in un momento in cui i rapporti tra Est e Ovest erano già abbastanza tesi. Nell’ambito delle relazioni internazionali, occorre fare dei passi coraggiosi per creare misure di fiducia, mostrare fiducia. Anche atti unilaterali di disarmo. Ci sarebbe bisogno di cercare di migliorare i rapporti internazionali non con la minaccia delle armi, ma con azioni di tutt’altro genere. Altrimenti ci troviamo con situazioni quali quelle attuali, in cui oggi noi abbiamo una spesa di circa 4,8 miliardi di dollari al giorno, cioè 200 milioni di dollari l’ora e circa 330 mila dollari al minuti… Per cui questa intervista che durerà 5-6 minuti, ci costerà - grosso modo - parallelamente un milione e 500 mila dollari. Quindi, capiamo che è un sistema che va tutto ripensato a livello globale e non abbiamo altra alternativa. Perché altrimenti qual è l’ipotesi? L’ipotesi è quella di una terza guerra mondiale che - come sappiamo - non può essere vinta da nessuno, perché le armi nucleari sono un gioco a somma zero, purtroppo.

D. - Dal Rapporto emerge un legame tra crescita economica e aumento della spesa militare: una tendenza che risulta preoccupante nei Paesi a più basso livello di sviluppo, come ad esempio nell’Africa subsahariana. Crede sia necessario, in tal senso, rivedere le condizioni legate agli aiuti che questi ricevono dal Fondo monetario internazionale o dalla Banca mondiale, sottolineando la necessità di ridurre le spese militari?

R. - Sì. Alcuni Paesi dell’Africa hanno aumentato enormemente le loro spese militari. Addirittura nell’ultimo anno, il Ghana le ha aumentate del 129%, l’Angola del 36%, cifra analoga per la Repubblica Democratica del Congo… L’intera Africa le ha aumentate dell’8,3%. Quindi, sono elementi che non fanno che preoccupare in una situazione difficile qual è quella del continente africano. Certamente, bisognerebbe spingere affinché questi Paesi investano soprattutto sulla sicurezza economica, sulla sicurezza sociale, sullo sviluppo complessivo. L’aumento degli armamenti, purtroppo, non può che destabilizzare a lungo andare il territorio, perché inevitabilmente un Paese che si arma comporta un’analoga reazione da parte dei Paesi vicini.







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