Messa crismale. Il Papa: la gioia del sacerdote viene da Dio ed è custodita dal Popolo
La Chiesa ha bisogno di sacerdoti gioiosi fedeli a Cristo e al Popolo di Dio. E’ quanto
sottolineato da Papa Francesco nella Messa Crismale in San Pietro dedicata a tutti
i sacerdoti del mondo, che in questo giorno rinnovano le promesse fatte al momento
dell’ordinazione. Nel corso della celebrazione, il Pontefice ha benedetto gli oli
degli infermi, dei catecumeni e il crisma. Il servizio di Alessandro Gisotti:
Da dove viene
la gioia del sacerdote? E’ la domanda rivolta da Papa Francesco a tutti i sacerdoti
del mondo, a partire da quelli davanti a lui che, con il bianco delle loro vesti,
appaiono dall’alto come tessere lucenti di un mosaico tra i marmi policromi della
Basilica petrina. E’ un’omelia lunga, intensa, articolata – secondo lo stile ignaziano
- in tre punti, quella che il Papa pronuncia nella Messa del Crisma e che subito sottolinea
come la gioia del sacerdote sia “un bene prezioso non solo per lui ma anche per tutto
il popolo dei fedeli di Dio”, al quale “è chiamato il sacerdote per essere unto e
al quale è inviato per ungere”. Il sacerdote, avverte, “è una persona molto piccola”
rispetto “all’incommensurabile grandezza del dono” dell’ordinazione:
“Il
sacerdote è il più povero degli uomini se Gesù non lo arricchisce con la sua povertà,
è il più inutile servo se Gesù non lo chiama amico, il più stolto degli uomini se
Gesù non lo istruisce pazientemente come Pietro, il più indifeso dei cristiani se
il Buon Pastore non lo fortifica in mezzo al gregge. Nessuno è più piccolo di un sacerdote
lasciato alle sue sole forze”.
E “a partire da tale piccolezza – soggiunge
– accogliamo la nostra gioia. Gioia nella nostra piccolezza”. Francesco indica dunque
tre caratteristiche significative della gioia sacerdotale. “E’ una gioia – afferma
- che ci unge, non che ci rende untuosi, sontuosi o presuntuosi, è una gioia
incorruttibile ed è una gioia missionaria che si irradia a tutti e attira
tutti, cominciando alla rovescia: dai più lontani”. E’ una gioia che unge, riprende,
perché “è penetrata nell’intimo del nostro cuore, lo ha configurato e fortificato
sacramentalmente”. E “la nostra gioia, che sgorga da dentro – soggiunge – è l’eco
di questa unzione”. E’ poi una gioia incorruttibile “alla quale nessuno può
togliere né aggiungere nulla, è fonte incessante di gioia: una gioia incorruttibile,
che il Signore ha promesso che nessuno” potrà togliere, anche se “può essere addormentata
o soffocata dal peccato o dalle preoccupazioni della vita”. Nel “profondo, rimane
intatta come la brace di un ceppo bruciato sotto le ceneri”. Ed è una gioia missionaria,
perché “è posta in intima relazione con il santo popolo fedele di Dio”. Questa gioia
che viene dal Signore, evidenzia, è inoltre custodita dal gregge stesso che è affidato
ai pastori:
“Anche nei momenti di tristezza, in cui tutto sembra oscurarsi
e la vertigine dell’isolamento ci seduce, quei momenti apatici e noiosi che a volte
ci colgono nella vita sacerdotale (e attraverso i quali anch’io sono passato), persino
in questi momenti il popolo di Dio è capace di custodire la gioia, è capace di proteggerti,
di abbracciarti, di aiutarti ad aprire il cuore e ritrovare una gioia rinnovata”.
Una
gioia, precisa il Papa, che è custodita “anche da tre sorelle che la circondano, la
proteggono, la difendono: sorella povertà, sorella fedeltà e sorella obbedienza”:
“Il
sacerdote è povero di gioia meramente umana: ha rinunciato a tanto! E poiché è povero,
lui, che dà tante cose agli altri, la sua gioia deve chiederla al Signore e al popolo
fedele di Dio. Non deve procurarsela da sé. Sappiamo che il nostro popolo è generosissimo
nel ringraziare i sacerdoti per i minimi gesti di benedizione e in modo speciale per
i Sacramenti. Molti, parlando della crisi di identità sacerdotale, non tengono conto
che l’identità presuppone appartenenza. Non c’è identità – e pertanto gioia di vivere
– senza appartenenza attiva e impegnata al popolo fedele di Dio”.
E questa
identità, annota, il sacerdote la trova uscendo da se stesso. “Se non esci da te stesso
– è l’avvertimento ai sacerdoti – l’olio diventa rancido e l’unzione non può essere
feconda. Uscire da se stessi richiede spogliarsi di sé, comporta povertà”. Francesco
si sofferma così sulla fedeltà “all’unica Sposa, la Chiesa”. “Qui – constata – è la
chiave della fecondità”, ma non tanto “nel senso che saremmo tutti immacolati,
magari con la grazia di Dio lo fossimo”:
“I figli spirituali che il Signore
dà ad ogni sacerdote, quelli che ha battezzato, le famiglie che ha benedetto e aiutato
a camminare, i malati che sostiene, i giovani con cui condivide la catechesi e la
formazione, i poveri che soccorre… sono questa ‘Sposa’ che egli è felice di trattare
come prediletta e unica amata e di esserle sempre nuovamente fedele”.
“E’
la Chiesa viva, con nome e cognome – spiega – di cui il sacerdote si prende cura nella
sua parrocchia o nella missione affidatagli”, “quando fa tutto ciò che deve fare e
lascia tutto ciò che deve lasciare pur di rimanere in mezzo alle pecore che il Signore
gli ha affidato”. E la gioia sacerdotale è una gioia che ha come sorella l’obbedienza
alla Chiesa, “obbedienza alla Chiesa nel servizio”:
“La disponibilità del
sacerdote fa della Chiesa la Casa dalle porte aperte, rifugio per i peccatori, focolare
per quanti vivono per strada, casa di cura per i malati, campeggio per i giovani,
aula di catechesi per i piccoli della prima Comunione… Dove il popolo di Dio ha un
desiderio o una necessità, là c’è il sacerdote che sa ascoltare (ob-audire)
e sente un mandato amoroso di Cristo che lo manda a soccorrere con misericordia quella
necessità o a sostenere quei buoni desideri con carità creativa”.
“Colui
che è chiamato – rassicura il Papa – sappia che esiste in questo mondo una gioia genuina
e piena”: quella di essere inviato al Popolo “come dispensatore dei doni e delle consolazioni”
di Gesù, l’unico Buon Pastore. Nell’ultima parte dell’omelia, il Papa ha rivolto una
preghiera speciale per i sacerdoti giovani:
“Conserva Signore nei tuoi giovani
sacerdoti la gioia della partenza, di fare ogni cosa come nuova, la gioia di consumare
la vita per te”.
Né ha mancato di rivolgere una preghiera affinché risplenda
la “gioia dei sacerdoti anziani, sani o malati”.
“E’ la gioia della Croce,
che promana dalla consapevolezza di avere un tesoro incorruttibile in un vaso di creta
che si va disfacendo. Sappiano stare bene in qualunque posto, sentendo nella fugacità
del tempo il gusto dell’eterno (Guardini). Sentano Signore la gioia di passare la
fiaccola, la gioia di veder crescere i figli dei figli e di salutare, sorridendo e
con mitezza, le promesse, in quella speranza che non delude”.