Giornata contro la schiavitù infantile: centinaia di milioni i bimbi sfruttati nel
mondo
Sono centinaia di milioni nel mondo i bambini ridotti in schiavitù e li troviamo ovunque
nel mondo, dall’Africa, all’America Latina. Per ricordare quanto sia necessaria la
lotta a questo fenomeno, oggi si celebra la Giornata internazionale contro la schiavitù
infantile in memoria anche di Iqbal Masih, bimbo pakistano di nove anni, ucciso il
16 aprile del 1992 perché divenuto il simbolo della lotta contro il lavoro infantile
nell’industria tessile pakistana. Il servizio di Francesca Sabatinelli:
Molti sono costretti
a lavorare, spesso nelle fabbriche di proprietà di multinazionali, altri sono obbligati
ai lavori domestici, altri ancora sono sfruttati sessualmente o vittime della tratta,
per molti ancora il destino è diventare soldato o vivere in strada per mendicare.
A tutti loro l’infanzia è stata spezzata. Sono i bambini ai quali in tante parti del
mondo viene impedito di giocare, di andare a scuola. Sono bambini oggetto di violenze,
ma “nessun bambino - diceva Iqbal Masih - dovrebbe impugnare mai uno strumento di
lavoro. Gli unici strumenti di lavoro che un bambino dovrebbe tenere in mano sono
penne e matite”. Raffaele K. Salinari, presidente di "Terres des Hommes - Italia":
R.
– Essere costretto a lavorare per conto terzi, spesso senza salario, è una delle forme
di schiavitù classiche: l’Organizzazione internazionale del lavoro ci dice che sono
ancora quasi 200 milioni i bambini che lavorano in stato di schiavitù, cioè che sono
attaccati a una macchina, a un telaio, costretti a costruire dal punto di vista manifatturiero
qualche cosa. Quindi, parliamo del 10 per cento della popolazione minorile nel mondo,
prevalentemente concentrata in Asia e nell’Africa subsahariana. Però, queste forme
di schiavitù “classiche” oggi sono anche ampiamente sorpassate da nuove forme di schiavitù
che noi conosciamo poco o che non riusciamo a capire in tutta la loro ampiezza, ma
che rappresentano – a nostro modo di vedere, come "Terres des Hommes" – nuove forme
di schiavitù ancora più gravi, sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo.
Un esempio eclatante è quello delle nuove schiavitù sessuali, al di là della prostituzione
infantile, che è sempre un fenomeno gigantesco, abbiamo nuove frontiere: per esempio,
lo sfruttamento della sessualità infantile via webcam. Noi abbiamo fatto un esperimento,
qualche mese fa, come "Terres des Hommes International", immettendo sul mercato della
prostituzione via webcam, una bambina virtuale, "Sweetie"’, che diceva di avere 11
anni e di essere filippina: in un mese, ha ricevuto più di 150 mila proposte via webcam
da uomini di tutto il mondo. Questo è uno dei tanti esempi delle nuove forme di sfruttamento
del corpo infantile che, appunto, vengono tenute in scarsissima considerazione dai
legislatori internazionali, ma che vanno evidenziate.
D. – In questi anni,
ci sono stati progressi non solo nella sensibilizzazione nei riguardi di questo fenomeno,
ma nella lotta alla schiavitù infantile?
R. – Decisamente sì per ciò che riguarda
le forme “classiche”, quelle dello sfruttamento della manualità infantile, manifatturiera,
bambini che costruiscono i palloni o intrecciano i fili dei nostri tappeti. Fino a
dieci anni fa, erano 300 milioni questi bambini, quindi una cifra gigantesca, oggi
sono tra i 200 e i 250 milioni. Quindi, in particolare in alcune parti del mondo,
notoriamente in America Latina, sono stati fatti grandi progressi sulle forme conosciute.
D’altra parte, però, c’è ancora una scarsa considerazione e consapevolezza, sia dal
punto di vista dell’opinione pubblica, sia dal punto di vista quindi del legislatore,
rispetto a nuovi fenomeni che invece vanno portati alla luce del sole e che quindi
devono essere regolamentati e combattuti come sono state combattute le forme “classiche”.
Secondo
l’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil), oltre 10 milioni di bambini lavorano
come servi domestici, oltre la metà avrebbero tra i 5 e i 14 anni. Per l’Ilo, questa
piaga riguarda tutto il mondo, ma è concentrata in particolar modo nell’Africa subsahariana.
Questi bambini, sfruttati nella cura della casa e per assistenza agli anziani, sono
spesso sottoposti a violenze, fisiche, psichiche e sessuali. Anna Pozzi, giornalista
di Mondo e Missione, esperta di Africa:
R. – Ho ritrovato bambini sfruttati
per i lavori domestici in molti contesti dell’Africa e, in particolare, in Africa
occidentale. In Nigeria, questo fenomeno è estremamente diffuso: molti bambini nigeriani
vengono sfruttati in situazioni di reclusione all’interno delle case delle famiglie
più benestanti nei lavori domestici, non hanno alcuna libertà e spesso vengono maltrattati.
Sono nigeriani ma provengono anche dai Paesi limitrofi, in particolare Benin e Togo,
dove, a causa della gravissima povertà, le famiglie li mandano nelle case di gente
benestante, con la promessa spesso che verranno fatti studiare. In realtà, una volta
lì vengono reclusi, segregati e sfruttati pesantemente. Non hanno la libertà di muoversi,
di uscire di casa e vengono costretti ai lavori domestici, anche molto pesanti a volte.
In alcune situazioni, ci sono anche abusi sessuali.
D. – Un altro aspetto è
lo sfruttamento dei bambini, la riduzione in condizioni di schiavitù, per la mendicità.
Questo è un fenomeno che purtroppo abbraccia tanti Paesi, ma molto sentito in Africa,
soprattutto in Senegal...
D. – Sì, riguarda un po’ tutta la regione del Sahel,
Senegal, Mali, una parte del Burkina, il Niger e così via, ed è legato molto spesso
alle scuole coraniche, dove i cosiddetti allievi talibé, così vengono chiamati,
sono costretti ad andare nelle strade a chiedere l’elemosina. Questa è una pratica
molto diffusa, che però prende, in alcuni contesti e in alcuni casi, la connotazione
di un vero e proprio sfruttamento. Questi bambini sono costretti a farlo e spesso
subiscono delle violenze se non raccolgono abbastanza soldi, vivono in condizioni
estremamente precarie, in mancanza dei beni di prima necessità, passando molto del
loro tempo lungo le strade per cercare di recuperare qualche soldo o qualcosa da portare
poi al maestro.