Profughi siriani in Giordania: a Karak l'emergenza non è finita
“Anche se l’attenzione internazionale è scemata, l’emergenza qui non è finita e l’afflusso
dei profughi dalla Siria continua ad essere costante”: a raccontarlo all'agenzia Misna
è suor Alessandra Fumagalli, comboniana e direttrice dell’Ospedale italiano di Karak,
a circa 150 chilometri da Amman. Nella zona, i rifugiati siriani sono oltre 10.000
e hanno come unico punto di riferimento il poliambulatorio gestito dalle religiose.
“Negli
ultimi tre mesi, con l’assistenza di Caritas e Unhcr, abbiamo dato assistenza a oltre
1170 persone, perlopiù donne, gravide o con bambini piccoli” dice la missionaria,
secondo cui con l’arrivo della primavera “stanno aumentando le infezioni respiratorie
e le febbri, che vanno ad aggiungersi alle normali patologie a cui assistiamo da mesi”.
Problemi
legati alla gravidanza, ma anche scabbia e malattie derivanti dalle scarse condizioni
igienico-sanitarie imposte da un viaggio lungo, in zone disabitate e inospitali. “Alcune
donne sono costrette a partorire da sole nel deserto – spiega – e giungono da noi
per curare e reidratare questi bimbi, che troppe volte muoiono per disidratazione,
denutrizione e ustioni”. Unico Centro attrezzato della regione, il nosocomio è troppo
decentrato per usufruire degli aiuti di organizzazioni internazionali e del governo
giordano, che coprono principalmente la parte nord del Paese, mentre l’altro ospedale
più vicino è ad Amman. Ma le risorse non sono sufficienti.
“Quello che ci dà
più forza per andare avanti – racconta la religiosa – è la dignità e la pazienza di
queste persone che, pur costrette ad abbandonare tutto, non perdono il loro decoro
e il senso di umanità gli uni nei confronti degli altri”.
Tra poche settimane,
con l’arrivo del caldo, la scarsità di acqua, in una zona per lo più desertica, “sarà
di certo un problema con cui confrontarci” osserva la missionaria, “ma quello che
vogliamo far sapere al mondo è dell’esistenza di queste persone, che rischia di passare
inosservata”. (R.P.)