Presidenziali Algeria: favorito Bouteflika, mobilitazioni in tutto il Paese
In un clima di forte tensione l’Algeria si prepara alle presidenziali del 17 aprile:
7 i candidati in lizza, ma sembra scontata la rielezione del capo di Stato uscente,
Abdelaziz Bouteflika, che per via delle sue precarie condizioni di salute non è mai
apparso di persona nella campagna elettorale. I militanti del movimento di protesta
Barakat hanno indetto una mobilitazione nazionale per il 16 aprile per dire "basta"
alla corruzione e alla disoccupazione e chiedere un cambio di passo, ma l’esercito
è pronto a reprimere ogni manifestazione. Cecilia Seppia ha sentito Gabriele
Iacovino del Centro Studi internazionali:
R. - Il grosso
problema è sia l’età di Boutiflika, sia le sue condizioni di salute. Ma in questo
momento non si vede un’alternativa possibile di un candidato a succedere a Boutiflika
che non venga fuori, appunto, da un equilibrio o da un compromesso all’interno della
struttura di potere algerina.
D. - Per molti Boutiflika, però, resta il presidente
della riconciliazione, il "salvatore" che è riuscito a far voltare pagina all’Algeria
dalla guerra civile. Come stanno davvero le cose?
R. - Sicuramente Boutiflika
è una figura storica, che rimarrà per sempre negli annali della politica e non solo
di quella algerina. La situazione, in questo momento, è un po’ diversa rispetto agli
anni della guerra civile, perché sì Boutiflika è stato un personaggio fondamentale
per la riconciliazione, ma ormai la situazione è cambiata: l’Algeria è stato uno dei
pochi Paesi dell’area nordafricana, insieme al Marocco, a non risentire della cosiddetta
primavera araba o a risentirne in parte, anche perché è un Paese diverso rispetto
agli altri, è un Paese ricco grazie alle risorse energetiche, però è un Paese in cui
questa ricchezza non viene distribuita su tutta la popolazione. C’è una classe di
potere forte, molto chiusa che non è rappresentata solo dall’élite politica, ma anche
dall’élite militare e quella dei servizi segreti.
D. - Guardiamo ora agli sfidanti.
Il numero uno è l’ex premier Ali Benfils: chi è e soprattutto ha davvero delle chance?
R.
- Benfils è sicuramente una personalità di rilievo, una personalità che ha cercato
di staccarsi da questa struttura di potere che controlla il Paese. Le reali chance
di vittoria sono alquanto basse, anche perché la politica algerina continua ad essere
ancora fortemente influenzata dagli strascichi della guerra civile: la paura è ancora
molto forte e quindi un potere non stabile amplifica queste paure di una destabilizzazione
in un’ottica - se vogliamo - anche di un ritorno non solo dei partiti islamisti, ma
anche dei partiti più estremi che si avvicinano sempre di più al salafismo. Anche
perché non dimentichiamo che l’Algeria continua comunque a combattere in prima linea
una dura guerra, una dura repressione nei confronti del fenomeno jihadista, che in
questi anni si è andato a sviluppare e che trova nel Sud dell’Algeria un inevitabile
retroterra logistico, ma anche un bacino di radicalizzazione.
D. - Militanti
del movimento di protesta “Barakat!” hanno indetto una mobilitazione nazionale per
il 17 aprile, data delle elezioni. In realtà loro non denunciano solo lo strapotere
di Boutiflika, ma anche la corruzione, la marginalizzazione dei giovani, la disoccupazione:
tutte piaghe che affliggono il Paese e che rischiano ancora di paralizzarlo…
R.
- Assolutamente sì! Il dato importante è che l’opposizione di piazza, l’opposizione
alimentata dai giovani delle grandi città si sta legando sempre di più all’opposizione
più di stampo islamista, che dalla guerra civile ad oggi è sempre stata tenuta ai
margini della vita politica e non per una vicinanza ideologica, ma più per una vicinanza
di obiettivo: quello di andare cioè a rompere la struttura di potere che controlla
il Paese per un'apertura più verso un respiro democratico. Credo però che il ricordo
della sanguinosa guerra civile è ancora forte e il controllo da parte della struttura
di potere algerina, sia politica che militare, è avvertita dalla maggioranza silenziosa
del Paese come necessaria per controllare il Paese stesso e per stabilizzarlo ulteriormente.