Messa Palme. Il Papa: davanti a Gesù siamo Maria o Giuda? All'Angelus il saluto ai
giovani delle Gmg
La Settimana Santa sia scandita da una domanda: sono come Giuda o Pilato, o come Maria,
il Cireneo, le donne che rimasero con Gesù fino alla sua morte? Con queste parole
di grande profondità spirituale Papa Francesco ha presieduto in Piazza San Pietro
la Messa della Domenica delle Palme e della Passione del Signore, davanti a una folla
di oltre 60 mila persone. Nella Giornata diocesana della gioventù, al momento dell’Angelus
c’è stato anche il rito del passaggio delle Croce delle Gmg dai ragazzi di Rio a quelli
di Cracovia, con il Papa che ha ricordato l’incontro che a metà agosto avrà con i
giovani asiatici in Corea del Sud. Il servizio di Alessandro De Carolis:
“A quale di
queste persone io rassomiglio?”. La domanda di Papa Francesco è come un pugno alla
stomaco della fede. Nel silenzio assoluto di cui possono essere capaci decine di migliaia
di persone, la sua voce lenta, riflessiva, passa in rassegna come l’obiettivo in primo
piano di una telecamera i volti dei protagonisti della Passione di Cristo, ricordati
dal lungo brano del Vangelo. Parla senza quasi staccare gli occhi dalla marea di persone
che gli sta davanti, Papa Francesco, che già alle 9.30 era apparso tra la folla di
Piazza San Pietro seduto in silenzio sulla giardinetta scoperta, senza il solito sorriso
allegro, a dare con la sua compostezza e con la veste rossa sulle spalle il segno
fisico della gravità della celebrazione.
“Chi sono io? Chi sono io, davanti
al mio Signore? Chi sono io, davanti a Gesù che entra di festa in Gerusalemme? Sono
capace di esprimere la mia gioia, di lodarlo? O prendo distanza? Chi sono io, davanti
a Gesù che soffre?”.
La celebrazione inizia con la processione e la benedizione
dei rami d’ulivo e dei parmureli liguri davanti all’obelisco egizio della piazza,
cui le palme artisticamente intrecciate dai mastri di Bordighera e Sanremo sono legate
da un’antica tradizione. Tra le mani, Papa Francesco stringe una ferula intagliata
nel legno d'ulivo dai detenuti di Sanremo. Quei pochi metri quadrati, circondati dagli
alberi d’ulivo pugliesi, sono simbolo e memoria di una giornata di festa di duemila
anni fa a Gerusalemme, e di un onore presto sconfessato.
Dall’obelisco all’altare,
dove predomina la macchia rosso sangue della schiera di cardinali, il trionfo diventa
odio, l’amicizia calpestata dal tradimento. Papa Francesco non legge una riga dell’omelia
preparata, a parlare è il suo cuore. “Abbiamo sentito tanti nomi”, dice, riferendosi
ai personaggi che popolano le ultime ore della vita di Gesù. Come quel “gruppo di
dirigenti” – sacerdoti, farisei, maestri della legge – “che avevano deciso di ucciderlo”.
O come Giuda che lo vende per 30 monete. “Sono io come Giuda?”, si interroga e interroga
il Papa. O sono come i discepoli?
“I discepoli che non capivano niente,
che si addormentavano mentre il Signore soffriva. La mia vita è addormentata? O sono
come i discepoli, che non capivano cosa fosse tradire Gesù? Come quell’altro discepolo
che voleva risolvere tutto con la spada: sono io come loro? Sono io come Giuda, che
fa finta di amare e bacia il Maestro per consegnarlo, per tradirlo? Sono io, traditore?
Sono io come quei dirigenti che di fretta fanno il tribunale e cercano falsi testimoni:
sono io come loro?”
Papa Francesco è un martello che non finisce di colpire.
Perché dal Sinedrio al palazzo del governatore romano il tragitto della coscienza
è breve. “Sono io come Pilato – si chiede e chiede il Papa – che quando vedo che la
situazione è difficile, mi lavo le mani e non so assumere la mia responsabilità e
lascio condannare – o condanno io – le persone?”. O sono, insiste, come quelli del
popolo si fanno beffe di Gesù?:
“Sono io come quella folla che non sapeva
bene se era in una riunione religiosa, in un giudizio o in un circo, e sceglie Barabba?
Per loro è lo stesso: era più divertente, per umiliare Gesù. Sono io come i soldati
che colpiscono il Signore, sputano addosso a Lui, lo insultano, si divertono con l’umiliazione
del Signore?”.
Ma tra la folla non abita solo l’oltraggio crudele a un
innocente. Ci sono luci abbaglianti, che macchiano di amore l’isteria di una massa
cui non interessa la giustizia ma vedere scorrere il sangue. E Papa Francesco guarda
questi visi di luce e li indica al cuore di chiunque si dica cristiano:
“Sono
io come il Cireneo che tornava dal lavoro, affaticato, ma ha avuto la buona volontà
di aiutare il Signore a portare la croce? (…) Sono io come quelle donne coraggiose,
e come la mamma di Gesù, che erano lì, soffrivano in silenzio? Sono io come Giuseppe,
il discepolo nascosto, che porta il corpo di Gesù con amore, per dargli sepoltura?
Sono io come queste due Marie che rimangono alla porta del Sepolcro, piangendo, pregando?”.
Inizia la Settimana Santa e non servono troppe considerazioni, termina
l’omelia Papa Francesco. Basta una domanda:
“Dove è il mio cuore? A quale
di queste persone io mi assomiglio? Che questa domanda ci accompagni durante tutta
la settimana”.
L’Angelus che conclude la celebrazione è tutto dedicato
ai giovani. Sulle scale del sagrato di Piazza San Pietro – e sotto gli occhi dei rispettivi
arcivescovi, i cardinali Orani João Tempesta e Stanislaw Dziwisz – ragazze e ragazzi
di Rio de Janeiro consegnano la Croce delle Giornate mondiale della gioventù ai loro
coetanei di Cracovia, città che ospiterà il prossimo raduno nel 2016. Questa Croce,
ricorda Papa Francesco, è il segno itinerante “dell’amore di Cristo per l’umanità”
che ai giovani delle Gmg consegnò Giovanni Paolo II, che ora si appresta – afferma
il Papa – a diventare “il grande patrono” di questi incontri. Ma prima c’è un altro
incontro particolare, per il quale Papa Francesco chiede preghiere e sostegno:
“In
questo contesto ho la gioia di annunciare che, a Dio piacendo, il 15 agosto prossimo,
a Daejeon, nella Repubblica di Corea, incontrerò i giovani dell’Asia nel loro grande
raduno continentale”.
Il sorriso sul viso del Papa ritorna al termine della
cerimonia, quando si intrattiene a lungo girando in auto, e spesso fermandosi per
un bacio ai bambini e agli anziani, tra la folla accalcata sulle transenne e in particolare
quando si concede – quasi venendone travolto – a un saluto a distanza ravvicinatissima
con i ragazzi di Rio e Cracovia, che tentano di avere con lui l’ormai irrinunciabile
selfie.