Ucraina orientale, ultimatum di Kiev: soluzione diplomatica nelle prossime 48 ore
o ricorso alla forza
In Ucraina, dopo nuove proteste e spinte secessioniste nella parte orientale del Paese,
il governo di Kiev prende in esame due ipotesi: una soluzione politica alla crisi
o il ricorso all’uso della forza. Intanto, la prossima settimana si terrà un nuovo
vertice sulla crisi ucraina. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
Dopo il referendum
che ha sancito l’annessione della Crimea alla Russia, nuove spinte separatiste tornano
ad infiammare l’Ucraina. Per le regioni orientali di Kharkiv, Donetsk e Lugansk –
avverte il ministro dell’Interno ucraino Arsen Avakov – esistono due opzioni: una
soluzione politica nel giro di 48 ore, se i militanti separatisti accetteranno la
via del dialogo, o l’uso della forza se i negoziati dovessero fallire. Intanto, il
presidente russo Vladimir Putin spera che le autorità ucraine evitino “azioni irreparabili”.
Fonti riservate del ministero degli Esteri di Mosca hanno inoltre reso noto che è
“possibile” la partecipazione della Russia al vertice, incentrato sulla crisi ucraina,
annunciato ieri dal segretario di Stato americano John Kerry. All’incontro, che probabilmente
si terrà la prossima settimana a Vienna, parteciperanno anche rappresentanti di Unione
Europea e dell’Ucraina. Ma l’amministrazione Obama scetticismo sull’esito dei colloqui.
Sulla
crisi Ucraina Massimiliano Menichetti ha intervistato Danilo Elia, esperto
dell'area per Osservatorio Balcani e Caucaso:
R. – La mossa
del governo ad interim di inasprire le pene per i reati chiamati da loro di terrorismo,
che minano all’unità nazionale, può essere un po’ un "boomerang" al momento per Kiev,
perché di fatto allontana un po’ le prospettive di dialogo con le comunità generalmente
definite russofile delle provincie orientali del Paese.
D. – Ad aumentare
la tensione ci sono anche le dichiarazioni della Nato. Il segretario generale Rasmussen
ribadisce: “Se Mosca interferisce ancora sarebbe un errore storico! Ci potrebbero
essere delle gravi conseguenze e gravi reazioni”. A cosa stiamo assistendo?
R.
– E’ chiaro che le organizzazioni internazionali – e la Nato prima di tutto – vedono
le manovre e le mosse russe come una minaccia ed è per questo che probabilmente Rasmussen
si affretta a fare queste dichiarazioni. Però, dall’altro lato, l’esperienza della
Crimea ha mostrato che se il Cremlino decide di intervenire, in una qualche maniera,
in Ucraina ben poco si può fare per evitarlo, al di là di manovra diplomatiche. In
estrema sintesi: non si può fare la guerra alla Russia.
D. – Ma c’è il rischio
di una guerra?
R. – Secondo molti osservatori, è estremamente improbabile.
Soprattutto, né l’Europa, né gli Stati Uniti, al di là dei proclami, hanno un reale
interesse a fare la guerra alla Russia per la Crimea, una regione come il Donec, o
Donetsk.
D. – Proprio la regione orientale russofona di Donetsk è stata prima
occupata dai filorussi, poi la cosa è rientrata… Lei è tornato una settimana fa proprio
da quella località: che cosa ha trovato e come giudicare quanto sta accadendo?
R.
– Ogni sabato e ogni domenica, in piazza Lenin ci sono manifestazioni pro-Russia.
Quello che è accaduto ieri sera fa parte un po’ di un andamento altalenante di questa
nuova fase della rivoluzione che sta interessando l’Ucraina. Di fatto, in quelle provincie
una grossa fetta della popolazione chiede qualcosa di simile a quello che si è fatto
in Crimea.
D. – Ma dopo la Crimea, quindi, assisteremo ad un effetto domino?
R.
– Sì, ci potrebbe essere, soprattutto se la Russia continuerà a intervenire come,
appunto, ha fatto in Crimea.
D. – Da una parte la Nato lancia moniti alla
Russia a non intervenire, mentre Mosca si dice pronta a dialogare con l’Unione Europea,
gli Stati Uniti e anche la stessa Ucraina…
R. – Il ministro degli Esteri russo,
Sergej Lavrov, ha mostrato di operare sempre in questa maniera. Non dobbiamo dimenticare,
però, che fino a tutt’oggi il Cremlino ha costantemente negato una presenza militare
russa in Crimea, veramente negando l’evidenza. Quindi, non prenderei alla lettera
le dichiarazioni che incitano al dialogo e che sembrerebbero mostrare un’apertura
da parte della Russia alla soluzione diplomatica della crisi. Non dimentichiamo che
al confine orientale con l’Ucraina, in territorio russo, è ammassato un grosso contingente
dell’esercito russo. E nonostante sia stato dichiarato – la settimana scorsa – un
parziale ritiro, non c’è evidenza di questo. Quindi, c’è un’altalena fra ciò che viene
dichiarato a livello diplomatico e quello che vediamo sul campo. Bisogna stare veramente
con gli occhi aperti e vedere che cosa succede sul terreno.
D. – Le presidenziali
del 25 maggio potranno cambiare qualcosa?
R. – Le presidenziali interessano
sicuramente quella parte di Ucraina, che al momento non è scossa da pulsioni separatiste.
Le persone con cui ho parlato, per esempio a Donetsk, contestano in toto quello che
sta avvenendo a Kiev. Contestano anche la legittimità delle elezioni presidenziali,
non si riconoscono in alcuno dei candidati. A loro interessa un riavvicinamento, in
qualche maniera, alla Russia e - secondo alcuni, a molti anzi - interessa un ritorno
di Yanukovich.