Da Rebibbia a Santa Lucia: a Roma, una mostra sulla Via Crucis
Durerà fino al 13 aprile la mostra “Il senso del sacro a Rebibbia”, ospitata nella
chiesa romana di Santa Lucia al Gonfalone. Tema dell’esposizione sono le 14 stazioni
della Via Crucis, raccontate attraverso altrettante tele realizzate da alcuni ragazzi
detenuti presso la III Casa circondariale di Rebibbia. Il tema, particolarmente sentito
dato il periodo pasquale, unisce e tocca tutti gli uomini, come ci racconta don
Franco Incampo, parroco della chiesa. Il servizio di Alessia Carlozzo:
R. – Ogni volta
che ci si avvicina al Cristo sofferente, lo sentiamo vicino, sentiamo che Egli prende
su di sé il nostro dolore, la nostra sofferenza. Il tema della Via Crucis era particolarmente
adatto non solo per il periodo che stiamo vivendo, verso la Pasqua, ma anche per coloro
che hanno delle crocifissioni nel cuore, delle cadute, dei dolori, delle sofferenze.
Il fatto di manifestare gli sguardi - Gesù che incontra le donne: la madre, la Veronica
- questi incontri sono sempre incontri di vita, di chi soffre e di chi accoglie il
dolore dell’altro. Però, l’aspetto fondamentale è l’esperienza di un amore di misericordia:
è il mistero del dolore dell’uomo che Cristo fa suo in un modo così grande. E anche
il fatto della compassione di Dio: dalla Croce, Lui vede i crocifissori, vede il male
e lo accompagna - accompagna tutti noi - verso la Risurrezione e la vita.
D.
– Lei ha avuto modo di conoscere alcuni dei ragazzi che hanno realizzato le opere?
Se sì, come hanno vissuto quest’esperienza?
R. – Ho parlato poco fa con un
detenuto che è venuto e mi ha raccontato della particolare esperienza nel descrivere
le stazioni della Via Crucis. Credo che un po’ sia una corda che tocca tutti, perché
Gesù si rende vicino all’uomo che soffre. Io l’ho accolto e sono contento di poter
ospitare queste opere dei ragazzi di Rebibbia.
D. – Cosa spera che questa mostra
riesca a trasmettere alle persone che verranno a visitarla?
R. – Credo che
venga a trasmettere soprattutto il senso del dolore e della passione: quella di Cristo
e quella di ogni uomo, di ogni condannato. Ma l’ultima parola non è semplicemente
il chiodo della Crocifissione; l’ultima parola è il perdono e la vita, la Risurrezione.
Quindi, io mi auguro che tutti coloro che passeranno alla mostra, potranno sentirsi
anche vicini a coloro che soffrono, potranno percepire Cristo non lontano, che fa
suo il dolore dell’uomo, che ci accompagna tutti verso la Risurrezione, alla vita.
D.
– Crede che questo tipo di attività siano importanti per dimostrare come il carcere
non debba essere soltanto un luogo di punizione, ma anche un luogo attraverso il quale
– in qualche modo – reinserirsi, al termine della pena scontata, nella società?
R.
– Credo che sia proprio una parabola questa esperienza, perché racconta di tante possibilità
che si possono avere se c’è questo reciproco lasciarsi educare da parte di coloro
che sono a Rebibbia, da parte degli altri che sono fuori: questa reciproca educazione,
questa reciproca fecondazione credo sia un’esperienza che faccia vedere la possibilità
di tante altre.
La mostra si è rivelata un’esperienza estremamente positiva,
come spiega uno dei ragazzi di Rebibbia:
R. – E’ stato un approccio che ci
ha avvicinati alla Chiesa, a me e agli altri ragazzi che hanno partecipato alla preparazione
delle tele. Sono molto contento di avere avuto la prima uscita con questa mostra;
ringrazio tutti quelli che ci hanno dato questa opportunità.
D. – Quale speri
sia il messaggio che arrivi alle persone che verranno a visitarla?
R. – Spero
che piaccia, che parli un po’ di noi, dell’esperienza che abbiamo avuto nella III
Casa, con gli operatori che vengono e ci danno questa possibilità.