Siria: il coraggio del popolo che non perde la speranza, nel libro della giornalista
Susan Dabbous
Continuano ad arrivare in Siria i messaggi di cordoglio per la morte, ad Homs, del
padre gesuita Frans Van der Lugt. La Curia generalizia dei gesuiti ribadisce la “costernazione
per il brutale assassinio di un uomo che ha dedicato la sua vita ai piu' poveri e
che non ha voluto abbandonarli nemmeno nei momenti di maggiore pericolo". Intanto
sul terreno il regime di Assad assicura che nessun motivo né militare né politico
bloccherà le elezioni presidenziali previste entro giugno, anche se gli scontri, specie
nel Nord-Ovest continuano. La violenza non si ferma dunque e la popolazione è stremata,
ma non perde né il coraggio né la speranza. Così testimonia nel suo libro - dal titolo
Come vuoi morire? - la giornalista Susan Dabbous, sequestrata per 11
giorni l’anno scorso, in Siria, per mano degli jihadisti. Ma quali le speranze dei
siriani oggi? Gabriella Ceraso lo ha chiesto proprio all’autrice:
R. – Si spera
di arrivare presto al ritorno alla normalità. I bambini vogliono tornare a scuola;
i padri di famiglia vogliono tornare a lavorare, perché il problema del lavoro è assolutamente
centrale; e le donne vogliono ritornare nelle proprie case. Sono stanche di vivere
la condizione di povertà estrema, di precarietà e di mancanza di dignità.
D.
– Tu hai vissuto 11 giorni di prigionia a fianco dell’universo jihadista: che cosa
hai capito delle responsabilità che ha in quanto sta accedendo in Siria?
R.
– La responsabilità è di chi non ha impedito che questo accedesse! La società siriana
non poteva difendersi da questo ingresso violento degli jihadisti, che si poteva invece
impedire.
D. – La tua prigionia, raccontata in questo libro, è caratterizzata
da bombe, paura, ma anche dalla preghiera. Che ruolo ha avuto la preghiera in questo
periodo?
R. – La preghiera che ho iniziato a fare, insieme ad una donna che
me l'ha insegnata, era una preghiera islamica rituale. La mia preghiera invece è stata
una preghiera - possiamo dire – una "preghiera laica", ma sicuramente una preghiera
di speranza.
D. – Il tuo libro ha una cornice, in un certo senso: c’è una
figura che ritorna, all’inizio e alla fine. E’ la figura di padre François, un sacerdote
ucciso in Siria, come è accaduto in questi giorni purtroppo anche a padre Frans van
der Lugt olandese ucciso ad Homs. Tu sei stata anche testimone dunque del ruolo dei
missionari e degli uomini di religione in Siria: che impressione ne hai avuto?
R.
– Io razionalmente la prima cosa che ho pensato è: perché i preti non vengono evacuati?
E poi, invece, ho capito attraverso la sua testimonianza che quella era la sua missione:
lui era un custode di Terra Santa e in quanto custode stava custodendo dei luoghi
importanti. Padre François, come padre Frans, per me si è manifestato come un uomo
di Dio e eroe silenzioso. Per me entrambi sono dei modelli, sono dei modelli forse
un po’ incomprensibili, però il fatto di aver avuto il privilegio di conoscerli fa
capire un po’ di più di quello che è la solidarietà, di quella che è la forza della
fede.
D. – L’esperienza del sequestro: di questo fenomeno che cosa hai capito?
Qual è la causa? Motivi economici realmente? C’è l’odio sotto? C’è una sorta di autodifesa
in chi li attua?
R. – Sicuramente in Siria ci sono sequestri di diverso tipo:
ci sono quelli di natura politico-ideologica, come il nostro; quelli di natura politica,
perpetrati principalmente da o gruppi armati o famiglie che si dedicavano al contrabbando
e quindi per scopi puramente lucrativi; e poi ci sono anche quelli a scopo di scambio
- come abbiamo potuto vedere nel caso delle suore di Maalula – scambio di prigionieri.
Nel caso invece di padre Paolo dall'Oglio, lui credeva talmente tanto nel dialogo
che non ha avuto problemi o paura a parlare con persone che, invece, il dialogo non
riescono neanche a contemplarlo.
D. – Il tuo libro si intitola con una domenda:
"Come vuoi morire?" Quasi a dire che la morte oggi è l’unica chance in Siria: è così?
R.
Sì! E’ vero che, da un lato, la morte è molto presente in Siria; ma dall’altro, questa
domanda mi aveva colpito perché era stata fatta con una estrema spontaneità, con un
tono di voce molto leggero, quasi come se mi stesse chiedendo qual è il tuo colore
preferito; in questa morte concepita in modo positivo, come momento di congiungimento
con questo paradiso agognato e idealizzato. Io di fronte ad una domanda del genere,
non ho potuto che costatare l’enorme distanza culturale che c’è, appunto, tra noi
e loro. Nonostante questo io mi sono trovata con i nostri sequestratori, in particolare
con una donna, a condividere invece anche dei momenti di grande umanità. Quindi, per
ritornare al discorso del capire che cosa spinga persone di dialogo, come padre Paolo
dall'Oglio e come gli altri preti che sono ancora in Siria in questo momento, è partire
da questa base di comunione, che è l’umanità stessa.
D. – L’ultimo capitoletto
del tuo libro si intitola Quale futuro per la Siria? Tu dici: con la violenza non
si ottiene nulla! Dunque come rispondi a questo quesito?
R. – Vivendo in Libano
mi sono resa conto di come un Paese martoriato dalla guerra civile, sia riuscito –
a suo modo – a continuare la vita e ad avere una certa gioia per la vita… Ecco, io
spero che la Siria – allo stesso modo – possa recuperare questa sua cultura della
vita, che è molto profonda, anche se in tempi lunghi…