Medio Oriente: raid israeliani su Gaza e allarme razzi nel Sud di Israele. Stallo
nei negoziati
Cresce la tensione in Medio Oriente. Nella notte l’aviazione militare israeliana ha
colpito cinque obiettivi “terroristici” a Gaza, ferendo due persone. Mentre in mattinata
le sirene di allarme anti-missile hanno suonato nel sud di Israele. Un’escalation
che arriva mentre torna lo stallo nel negoziato di pace tra lo Stato ebraico e l’Anp,
con il blocco del rilascio degli ultimi detenuti palestinesi pattuiti e con l’approvazione
di un controverso progetto archeologico a Gerusalemme est. Per un’analisi della situazione
Marco Guerra ha intervista Marcella Emiliani, esperta di Medio Oriente:
R. - Il nodo
principale è rappresentato dagli insediamenti ebraici in Cisgiordania. Nonostante
gli sforzi di Kerry, degli Stati Uniti, di convincere Netanyahu a sospendere il programma
di colonizzazione, Netanyahu compie passi laterali - come quello, appunto, di rilasciare
prigionieri e ne ha già rilasciate ben tre ondate…- ma su quello che è il punto centrale,
cioè fermare la costruzione di colonie ebraiche in Cisgiordania, proprio non ci sente.
Più passa il tempo e più naturalmente rimane meno terra da restituire ai palestinesi,
semmai si arriverà a questo. Allo stato attuale delle cose non ci sono molte possibilità
che questo possa succedere.
D. - Israele chiede all’Anp di ritirare l’adesione
ai trattati internazionali: in pratica si vuole evitare un riconoscimento giuridico
dell’Autorità palestinese?
R. - Sì, perché nel momento in cui Abu Mazen si
appella a ben 15 Convenzioni dell’Onu che Israele avrebbe violato, evidentemente si
affida alla giustizia internazionale e da questo punto di vista Israele sa di essere
in grosso difetto!
D. - Intanto la tensione è tornata alta anche tra Gaza e
Israele…
R. - Quella comporta proprio uno stato di guerra a bassa intensità,
che porta con sé anche delle conseguenze regionali molto pesanti, perché non scordiamo
che varie artiglierie di cui si avvale Hamas provengono dall’Iran e fino a poco tempo
fa anche dalla Siria. Tutto questo allontana certamente qualsiasi tipo di trattativa.
Il punto fondamentale qui è che tutti si comportano come se ci fosse ancora chissà
quanto tempo. Non scordiamoci che i negoziati dovevano, nell’ottica di Kerry, essere
conclusi per il 29 di aprile: se andiamo avanti di questo passo, non ci arriviamo
neanche fra tre anni!
D. - Il ruolo dell’Occidente, degli Stati Uniti e degli
attori internazionali quale può essere in questo momento per sbloccare il negoziato?
R.
- Praticamente nessuno si è più fatto avanti per risolvere, a livello internazionale,
il negoziato. Eravamo rimasti a una mediazione che doveva essere portata avanti da
Tony Blair: non se ne è saputo più niente… L’Unione Europea continua a pagare gli
stipendi dell’Autonomia nazionale palestinese, ma non ci sono delle iniziative di
tipo squisitamente politico a parte questa shuttle diplomacy che il segretario
di Stato americano Kerry continua a fare. Resta che in questo momento Israele è ancora
nella condizione di porre le proprie di condizioni. Il problema è che manca la volontà
politica. E diciamocelo chiaramente, quando manca la volontà politica dove si va?