Speranza di una ripresa economica in Grecia dopo il via libera ai nuovi aiuti europei
Ottimismo in Grecia dopo il varo di una nuova tranche di aiuti di 8,3 miliardi di
euro da parte dell’Eurogruppo ma, nel Paese, proseguono gli scioperi dei marittimi
che da quattro giorni stanno bloccando il traffico di merci e passeggeri per le isole.
Martedì sera, poi, tafferugli si sono verificati ad Atene tra manifestanti di sinistra
e polizia. Un malcontento che era già esploso nei giorni scorsi con il via libera
ad un pacchetto di liberalizzazioni che hanno riguardato in particolare le farmacie
ed i taxi. Ma come la Grecia proseguirà sulla strada del risanamento? Benedetta
Capelli lo ha chiesto a Simona Beretta, docente di economia internazionale,
delle istituzioni e dello sviluppo all’università Cattolica di Milano:
R. – Secondo
me, bisogna distinguere due livelli. Un livello di risistemazione dell’assetto macro,
e non c’è dubbio che in questo la Grecia, con enormi sacrifici, sia riuscita ad attestarsi
come un Paese capace di iniziare un processo di riforma e per questo ha avuto grande
apprezzamento. Ma questo livello è come se fosse appoggiato sulle spalle di ogni singolo
cittadino della Grecia. Io penso che il bene di una nazione debba essere un bene realmente
comune. Devono andar bene i conti macroeconomici, perché se non vanno bene la vita
dei singoli viene messa in pericolo. Ma i conti macroeconomici non possono andare
bene in un contesto in cui la vita dei singoli è oppressa a livelli insopportabili.
E questi singoli, la cui vita è così problematica, non sono tutti.
D. – Il
percorso di Atene è, comunque, un segnale di ripresa, secondo lei, per l’economia
europea?
R. – Sicuramente è un buon segnale per la vicenda europea nel suo
complesso. In fondo, infatti, non dobbiamo dimenticare che sia pure con grande fatica,
con grande ritardo e con grandi resistenze, si è tornati ad un principio senza il
quale l’Europa non esiste e cioè un principio di reale solidarietà, di reale condivisione.
L’Europa, oggi, è una realtà economicamente e politicamente molto variegata. In nuce,
però, quello che è successo alla Grecia è stato l’essere immessa in una realtà integrata,
con grandi benefici immediati, che si sono – come dire - sfruttati fino alla crisi
da eccesso di indebitamento. Se c’è qualcuno che emette troppo debito, in fondo, è
perché qualcun altro ha concesso troppo credito, e questa relazione è una relazione
che chiama in causa la solidarietà.
D. – Dalla Grecia, con la dichiarazione
del leader della sinistra Tsipras, fino all’Italia con il premier Renzi, oggi si discute
molto dell’efficacia delle politiche economiche europee. Sono, secondo lei, critiche
giustificate?
R. – L’Europa fa bene il suo dovere quando usa realmente il principio
di sussidiarietà. La grande malattia di tutte le realtà burocratico-costituzionali
si chiama tecnocrazia. Io penso che l’Europa abbia fatto tanto e bene ma che talvolta
abbia esagerato in un approccio tecnocratico, che inevitabilmente è guidato dal potere
e dagli interessi più forti. Un lavoro di semplificazione che dia più spazio alla
sussidiarietà e meno alla tecnocrazia certamente fa parte delle cose di cui l’Europa
dovrebbe farsi carico. Non c’è dubbio che l’Europa stia attraversando un momento di
oggettiva fatica. Devo anche dire, naturalmente, che questa grande fatica la percepiscono
di più i Paesi che erano abituati ad essere “sazi” e che adesso cominciano ad avere
delle difficoltà. La sentono molto meno i Paesi che erano abituati a tirare la cinghia
e in questo momento trovano in Europa lo spazio per poter esprimere le loro potenzialità.
Un nome per tutti è la Polonia.
D. – Abbiamo sempre parlato molto di Grecia,
come appunto del "fanalino di coda" dell’Europa. Ci sono però altri Paesi che hanno
vissuto delle difficoltà forti, come la Spagna, l’Italia e il Portogallo. Oggi, ci
sono segnali di speranza da questi Paesi?
R. – Mi sembra che tutti questi Paesi
che lei ha elencato siano Paesi con gravi difficoltà e che hanno bisogno di fare un
lavoro al proprio interno nel quale si riconosca la capacità dei popoli di generare
il benessere. Non credo che ci siano ragioni per essere pessimisti e penso che ci
sia un grande lavoro locale e regionale, a livello europeo, da fare, perché si vigili
sempre affinché le politiche siano al servizio della realtà di base. Ecco, questo
mi sembra il nodo fondamentale.