Riforma del Senato: critiche dentro e fuori la maggioranza. Commento del politologo
Pombeni
Continua a far discutere la riforma del Senato varata dal cdm. Sel ha annunciato che
voterà no. Fortemente critico il Movimento 5 Stelle, che difende il sistema attuale
del bicameralismo perfetto, ma anche all’interno della maggioranza non mancano alcuni
distinguo e, nel Pd, 25 senatori invitano il premier ad “ascoltare le tante voci”
e a “non porre ultimatum". Un’approvazione, dunque, quella del ddl varato all’unanimità
dal governo, tutta in salita? Al microfono di Adriana Masotti, il politologo
Paolo Pombeni, direttore dell’Istituto Storico Italo-Germanico di Trento:
R. – Qui,
la situazione è molto semplice: non si sta discutendo di questo disegno di legge,
ma si sta discutendo se far saltare o meno il governo Renzi, con tutte le conseguenze
del caso. Quindi, se una parte cospicua, diciamo della Camera o del Senato, decide
in quella direzione, il provvedimento del Senato salterà. Se invece prevale quella
che a me sembra un prospettiva realistica – cioè l’idea che in questo momento far
cadere il governo Renzi per correre alle elezioni anticipate sia una follia – allora
tutti questi critici, diciamo, “garibaldini” rientreranno nei ranghi e il disegno
di legge passerà.
D. – Vediamo un po’ quali sono i motivi di perplessità o
di critica. Ad esempio, molti – Grasso per primo – dicono che almeno una parte dei
senatori dovrà essere eletta dal popolo, perché il popolo vuole essere protagonista
della politica...
R. – Questo, secondo me, è un modo sbagliato di presentare
la questione. Il popolo è già protagonista della politica al livello della Camera
dei deputati. La razionalità delle due Camere è di avere due Camere che hanno un’origine
rappresentativa di tipo diverso. Ci devono essere, cioè, degli altri modi di rappresentare
il popolo, che non sono quelli dell’elezione di tipo parlamentare classico. Ovviamente,
non è facile trovare un altro meccanismo di rappresentanza. Questo progetto ha scelto
l’idea della rappresentanza dei governi locali. Naturalmente, è una scelta che si
presta a delle critiche, ma temo sia più o meno l’unica disponibile.
D. – Un’altra
questione che ritorna: i tempi. Alcuni, come ad esempio Forza Italia, chiedono: prima
la legge elettorale, poi la riforma del Senato, mentre il NcD sostiene il contrario...
R.
– Il problema dei tempi è più che altro un problema di evitare appunto la “palude”,
come ama dire Renzi. Evitare, cioè, il fatto che, con la scusa di prendersi il tempo
necessario, si finisca, come sono finite tutte le varie commissioni bicamerali, in
una lunga storia, che poi non ha prodotto nulla. E’ anche vero, però, contemporaneamente,
che dovendo accelerare molto, il rischio di fare dei piccoli “pasticcetti” si incrementa.
D.
– E qui entriamo nella terza questione: il metodo. Va bene la rapidità, però occorre
che il parlamento discuta di questo testo...
R. – Anche qui, sono 30 anni che
si discute di queste riforme… Si tratterebbe, quindi, più che di discutere, di fare
eventualmente proposte alternative, serie, sulle quali verificare convergenze o divergenze.
D.
– Anche all’interno del Pd, però, ci sono 25 senatori che parlano di “svolta autoritaria”
e che vorrebbero dare un contributo e affermano di non essere "contro le riforme”...
R.
– A mio parere personale, questa storia della svolta autoritaria la trovo francamente
ridicola. E’ un’accelerazione ovviamente di tipo decisionista da parte di un presidente
del Consiglio che, a fronte di 30 anni in cui non si è concluso niente, cerca di imporre
una decisione: vorrei dire ai 25 firmatari che ci pensino un attimo.
D. – Ad
affermare la necessità di mantenere la parità delle Camere, quindi il bicameralismo
perfetto, è il Movimento 5 Stelle. Come spiega lei questa posizione?
R. – E'
una cosa che sostengono solo loro, assolutamente strumentalmente, perché il bicameralismo
perfetto praticamente non esiste più in nessun altro sistema politico, non solo occidentale.
Certo, il fatto che leggi importanti possano avere una seconda lettura di tipo critico,
questo è invece un principio interessante, che sarebbe da mantenere e che per certi
aspetti sembra sia mantenuto, ma che può essere incrementato – ripeto - nell’ambito
di una rilettura, che sia una rilettura di tipo tecnico e non una rilettura di tipo
politico. Nessun Paese, infatti, è in grado di reggere due maggioranze politiche.