Papa Francesco: accidia e formalismo in tanti cristiani, chiudono la porta alla salvezza
I cristiani anestetizzati non fanno bene alla Chiesa. E’ quanto sottolineato da Papa
Francesco nella Messa di martedì mattina a Casa Santa Marta. Il Papa ha ribadito che
non bisogna fermarsi ai formalismi, ma “immischiarsi”, vincere l’accidia spirituale
e rischiare in prima persona per annunciare il Vangelo. Il servizio di Alessandro
Gisotti:
Papa Francesco
ha svolto la sua omelia soffermandosi sul passo del Vangelo che narra dell’incontro
tra Gesù e il paralitico che, ammalato da 38 anni, stava sotto i portici presso la
piscina aspettando la guarigione. Quest’uomo si lamentava perché non riusciva a immergersi,
era sempre anticipato da qualcun altro. Ma Gesù sposta l’orizzonte e gli ordina di
“alzarsi”, di andare. Un miracolo che desta le critiche dei farisei perché era sabato
e quel giorno, dicevano, non si poteva. In questo racconto, ha osservato il Papa,
troviamo due malattie forti, spirituali. Due malattie su cui, ha detto, “ci farà bene
riflettere”. Innanzitutto la rassegnazione del malato, che è amareggiato e si lamenta:
“Io
penso a tanti cristiani, tanti cattolici: sì, sono cattolici ma senza entusiasmo,
anche amareggiati! 'Sì, è la vita è così, ma la Chiesa… Io vado a Messa tutte le domeniche,
ma meglio non immischiarsi, io ho la fede per la mia salute, non sento il bisogno
di darla ad un altro…'. Ognuno a casa sua, tranquilli per la vita… Ma, tu fai qualcosa
e poi ti rimproverano: 'No, è meglio così, non rischiare…”'. E’ la malattia dell’accidia,
dell’accidia dei cristiani. Questo atteggiamento che è paralizzante dello zelo apostolico,
che fa dei cristiani persone ferme, tranquille, ma non nel buon senso della parola:
che non si preoccupano di uscire per dare l’annuncio del Vangelo! Persone anestetizzate”.
E l’anestesia, ha aggiunto, “è un’esperienza negativa”. Quel non immischiarsi
che diventa “accidia spirituale”. E “l’accidia – ha detto – è una tristezza”: questi
cristiani sono tristi, “sono persone non luminose, persone negative. E questa è una
malattia di noi cristiani”. Andiamo a Messa “tutte le domeniche, ma – diciamo – per
favore non disturbare”. Questi cristiani “senza zelo apostolico”, ha avvertito, “non
servono, non fanno bene alla Chiesa. E quanti cristiani sono così – ha affermato con
rammarico – egoisti, per se stessi”. Questo, ha detto, è “il peccato dell’accidia,
che è contro lo zelo apostolico, contro la voglia di dare la novità di Gesù agli altri,
quella novità che a me è stata data gratuitamente”. Ma in questo passo del Vangelo,
ha detto il Papa, troviamo anche un altro peccato quando vediamo che Gesù viene criticato
perché ha guarito il malato di sabato. Il peccato del formalismo. “Cristiani – ha
detto – che non lasciano posto alla grazia di Dio. E la vita cristiana, la vita di
questa gente è avere tutti i documenti in regola, tutti gli attestati”:
“Cristiani
ipocriti, come questi. Soltanto interessavano loro le formalità. Era sabato? No, non
si possono fare miracoli il sabato, la grazia di Dio non può lavorare il sabato. Chiudono
la porta alla grazia di Dio! Ne abbiamo tanti nella Chiesa: ne abbiamo tanti! E’ un
altro peccato. I primi, quelli che hanno il peccato dell’accidia, non sono capaci
di andare avanti con il loro zelo apostolico, perché hanno deciso di fermarsi in se
stessi, nelle loro tristezze, nei loro risentimenti, tutto quello. Questi non sono
capaci di portare la salvezza perché chiudono la porta alla salvezza”.
Per
loro, ha detto, contano “soltanto le formalità”. “Non si può: è la parola
che più hanno alla mano”. E questa gente la incontriamo anche noi, ha detto, anche
noi “tante volte siamo stati con l’accidia o tante volte siamo stati ipocriti come
i farisei”. Queste, ha soggiunto, sono tentazioni che vengono, “ma dobbiamo conoscerle
per difenderci”. E davanti a queste due tentazioni, davanti “a quell’ospedale da campo
lì, che era simbolo della Chiesa”, davanti a “tanta gente ferita”, Gesù si avvicina
e chiede solo: “Vuoi guarire?” e “gli dà la grazia. La grazia fa tutto”. E poi, quando
incontra di nuovo il paralitico gli dice di “non peccare più”:
“Le due parole
cristiane: vuoi guarire? Non peccare più. Ma prima lo guarisce. Prima lo guarì, poi
‘non peccare più’. Parole dette con tenerezza, con amore. E questa è la strada cristiana,
la strada dello zelo apostolico: avvicinarsi a tante persone, ferite in questo ospedale
da campo, e anche tante volte ferite da uomini e donne della Chiesa. E’ una parola
di fratello e di sorella: vuoi guarire? E poi, quando va avanti, ‘Ah, non peccare
più, che non ti fa bene!’. E’ molto meglio questo: le due parole di Gesù sono più
belle dell’atteggiamento dell’accidia o dell’atteggiamento dell’ipocrisia”.