2014-04-01 15:23:11

Kerry torna in Medio Oriente, ultimatum dell'Anp per il rilascio dei prigionieri


Il leader dell’Autorità Nazionale Palestinese Abu Mazen ha annunciato che l'Anp ha deciso di proseguire nella strada di ottenere il riconoscimento internazionale quale Stato ed ha presentato istanza per entrare a far parte di 15 agenzie Onu. E ieri, secondo secondo incontro tra il segretario di Stato americano, John Kerry, e il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, nel tentativo di sbloccare l’impasse e salvare i colloqui di pace in Medio Oriente. Alessando Politi, analista politico e strategico traccia il quadro della situazione, al microfono di Cecilia Seppia:RealAudioMP3

R. – Innanzitutto, c’è una controparte israeliana che non ha nessun interesse al processo di pace. Spera che la questione dei due Stati e dei due popoli si chiuda, e in effetti è stata chiusa dalla continua colonizzazione che è stata compiuta nei territori occupati, e spera che la questione venga congelata lì, finita. Questa è la linea del governo israeliano. D’altro canto, i palestinesi non sono riusciti a costruire un’unità politica e quindi hanno pochissima leva per mandare avanti questo processo.

D. – Questa volta, però, l’Anp alza la voce e pone una sorta di ultimatum a Kerry, chiedendogli di fornire garanzia sul rilascio, da parte di Israele, dell’ultimo gruppo di detenuti palestinesi – circa 30 – altrimenti riaprirà le procedure per l’ammissione all’Onu. Quanto è reale questa minaccia, e che cosa comporterebbe?

R. – La leva dell'ammissione all’Onu ha due effetti. Uno, quello di creare un fatto compiuto di statualità, e già c’è stato un primo passo nell’Assemblea generale; con la statualità, entra in crisi tutto il sistema di occupazione militare israeliano, che dura dal ’67. In secondo luogo, il fatto che la Palestina possa, in un tempo più o meno lungo o breve, assumere dimensioni statuali significa che la campagna informale di boicottaggio e disinvestimento delle strutture israeliane statali, che favoriscono l’occupazione, acquisti ancora più tenuta. E questa, naturalmente, è una cosa che preoccupa il governo Netanyahu.

D. – Guardiamo meglio ai prigionieri che sono oggetto di scambio: ovviamente, tra questi ci sono persone che gli israeliani conoscono bene e che potrebbero avere anche forti contatti con cellule terroristiche. Ecco perché Israele continua a tenere il punto su questa faccenda. E Kerry, questa mattina, ha cercato di strappare un compromesso, a Netanyahu, che potrebbe comportare – tra gli altri – il rilascio di Jonathan Pollard. Ricordiamo chi è questa figura?

R. – E’ un cittadino americano che ha passato segreti di sicurezza nazionale agli israeliani, e quindi è stato condannato per alto tradimento e spionaggio. E’ chiaro che Israele cerca di recuperare le sue spie, perché se non fa di tutto per recuperarle, altre persone dicono: “Mi spiace, non voglio fare la fine di Pollard”. Quindi, è molto chiaro perché gli americani finora abbiano sempre detto “no”. Spiarsi tra alleati, checché se ne dica, non è una cosa che si accetti a cuor leggero. E il fatto che gli americani vogliano offrire questa possibilità, è in realtà un tentativo molto evidente di ottenere uno scambio diretto – prigionieri contro Pollard, che peraltro potrebbe interessare per il "quarto d’ora effimero" di celebrità al governo Netanyahu – ma poi non cambia la sostanza delle cose sul terreno. Questi tentativi sono sullo sfondo di una questione molto più importante, che è la pace. Il resto è francamente secondario, e gli israeliani sanno benissimo, ormai da qualche anno, che non sono più in cima ai pensieri non di questa Casa Bianca ma di qualunque Casa Bianca. E' dai tempi di Clinton che la loro importanza strategica sta continuando a calare.

D. – Non è un caso che l’Anp abbia rivolto questo ultimatum a John Kerry. E quindi, cerchiamo di ricordare anche che ruolo hanno gli Stati Uniti in questo momento …

R. – In questo momento hanno un "non-ruolo". E' dai tempi di Clinton, dopo il fallimento dei negoziati di Wye Plantation che fu attribuito erroneamente in toto ad Arafat - e questo è chiaramente una forzatura che non ha niente a che vedere con la realtà storica - nessun presidente ha poi veramente voluto mettere in dito in quel ginepraio, sapendo benissimo che in cambio di un’illusoria possibilità di fare la pace, si sarebbe punto le dita su un sacco di contraddizioni che le due parti hanno. L’idea che gli americani possano forzare gli israeliani è una mezza verità, ma non basta questo per convincere un partner a fare la pace. Ci vuole qualcosa che devono fare gli israeliani da una parte e i palestinesi dall’altra, e questo costa molto, in termini politici.

Ultimo aggiornamento: 2 aprile







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