Sant'Ambrogio e la fede nell'Eucaristia al centro della predica di Quaresima di padre
Cantalamessa
Per spiegare l’Eucaristia, padre Raniero Cantalamessa, nella terza predica di Quaresima,
tenuta alla presenza di Papa Francesco, nella Cappella Redemptoris Mater del Palazzo
Apostolico, in Vaticano, si è servito degli insegnamenti di Sant’Ambrogio, ma ha raccomandato
come nuova risorsa il riavvicinamento tra cristiani ed ebrei. Conoscere la liturgia
ebraica, ha detto il predicatore della Casa Pontificia, aiuta a comprendere meglio
i gesti di Cristo. Il servizio di Tiziana Campisi:
“Questo pane
è pane prima delle parole sacramentali; quando interviene la consacrazione, da pane
diventa carne di Cristo”:
Così Sant’Ambrogio spiega la presenza reale di
Cristo nell’Eucaristia, ha detto il predicatore della Casa Pontificia, una presenza
non fisica, “ma sacramentale, mediata da segni che sono … il pane e il vino”, dove
è “la parola di Cristo a compiere” il Sacramento. Sviluppando la sua terza predica
di Quaresima, padre Raniero Cantalamessa ha però aggiunto che, quando Cristo si fa
corpo sull’altare, non bisogna dimenticare l’azione dello Spirito Santo; elemento
che il vescovo di Milano non sviluppa nelle sue catechesi. Ma se Ambrogio ha aperto
la strada alla comprensione del mistero dell’Eucaristia, oggi è considerando la sua
matrice ebraica che è possibile avere una visione ancora più chiara:
“Non
si capisce l’Eucaristia se non la si vede come il compimento di quello che gli ebrei
facevano e dicevano nel corso del loro pasto rituale. Il nome stesso Eucaristia non
è che la traduzione dell’ebraico Beraka, la preghiera di benedizione
e di ringraziamento fatta durante tale pasto sacro”.
L’Eucaristia cristiana,
allora, come si legge anche nel “Gesù di Nazaret di Benedetto XVI, ha osservato padre
Cantalamessa, si può pensare come sviluppatasi dalla beraka ebraica"; dunque
i precedenti dell’Eucaristia sarebbero da rintracciare nel pasto rituale ebraico dei
Giudei. E’ Gesù, poi, a dar vita al nesso tra l’Eucaristia e la sua morte di croce,
dove “si realizza, secondo Giovanni, la figura dell’agnello pasquale a cui ‘non viene
spezzato alcun osso’". Ma ecco la novità apportata da Cristo:
“Luca dice
che dopo aver cenato Gesù prese il calice dicendo: 'Questo calice è la nuova Alleanza
nel mio Sangue che è sparso per voi'. Qualcosa di decisivo avviene nel momento in
cui Gesù aggiunge queste parole alla formula di preghiere di ringraziamento, cioè
alla beraka ebraica ... E nel momento in cui Gesù pronuncia
quelle semplici parole, è come se dicesse: 'Sin qui, ogni volta che avete celebrato
questo pasto rituale voi avete commemorato l'amore di Dio salvatore che vi ha tratti
fuori dall'Egitto. D'ora in poi, ogni volta che ripeterete questo che abbiamo fatto
oggi, lo farete non più in commemorazione di una salvezza da una schiavitù materiale,
nel sangue di un animale; lo farete in memoria di me, figlio di Dio che ho dato il
Sangue per redimervi dai vostri peccati. Fin qui avete mangiato cibo normale per celebrare
una liberazione normale, materiale; ora mangerete me, cibo divino sacrificato per
voi, per farvi una cosa sola. E mi mangerete e berrete il mio Sangue, nell'atto stesso
in cui io mi sacrifico per voi. Questa è la nuova ed eterna alleanza".
E
poi “le parole ‘fate questo in memoria di me’”: attraverso di esse, ha sottolineato
padre Cantalamessa, “Gesù conferisce una portata sconfinata al suo dono”. Ci chiede
di ripetere quello che lui ha fatto, sicchè “la figura dell’agnello pasquale
che sulla croce diventa evento, nella cena ci è dato come sacramento,
cioè come memoriale perenne dell’evento”. L’evento è accaduto una volta sola, il sacramento
accade ogni volta che lo vogliamo”. E “il memoriale che … era il pegno della fedeltà
di Dio a Israele, ora è il corpo spezzato e il sangue versato del Figlio di Dio;
è il sacrificio del Calvario “ri-presentato” (cioè reso nuovamente presente):
“Nell’Eucaristia
avvengono due miracoli: uno è quello che fa del pane e del vino il corpo e il sangue
di Cristo, l’altro è quello che fa di noi ‘un sacrificio vivente a Dio gradito’, che
ci unisce al sacrificio di Cristo, come attori, non solo come spettatori”.
In
quel pane e in quel vino, in pratica, ci siamo anche noi. E con un’efficace immagine
il predicatore della Casa Pontificia ha descritto cosa avviene nella celebrazione
eucaristica:
“Pensiamo a una numerosa famiglia in cui ci sono molti figli
e uno, il primogenito, che è innamoratissimo del padre. Per la festa del papà questo
figlio maggiore vuol fargli un regalo prezioso. Però, prima di presentare il regalo
al padre, chiede, in segreto, a tutti i suoi fratelli e sorelle di mettere la loro
firma sul regalo. Sicché il regalo arriva alle mani del padre come regalo di tutti,
tutta la sua famiglia, a dispetto del fatto che uno solo ha pagato il prezzo, il figlio
primogenito. Bene, è quello che avviene nella Messa. Gesù ama infinitamente il Padre
celeste. Il Padre celeste è tutto per Gesù, è il nucleo incandescente della sua Persona,
è quello che gli dà la forza di andare avanti, anche sulla croce. Ama dunque Gesù,
ama il Padre. Vuole fargli un regalo, ma non una volta sola, un regalo che è il più
grande del mondo, la sua stessa vita, la sua obbedienza fino alla morte. Però, prima
di offrire questo dono al Padre, chiede a tutti i fratelli e le sorelle, che siamo
noi, di mettere la nostra firma sul dono, sicché il dono arriva al Padre celeste come
il dono di tutti i suoi figli, tutta la sua famiglia, nonostante che uno solo ha pagato
il prezzo di quel dono, e che prezzo ha pagato!”.
La nostra firma sono
le poche gocce d’acqua che vengono mescolate al vino nel calice; la nostra firma,
spiega Sant’Agostino, è soprattutto l’Amen che i fedeli pronunciano al momento della
Comunione.