2014-03-28 15:07:06

Intervista a mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei


Papa Francesco ha ricevuto giovedì scorso mons. Nunzio Galantino, vescovo di Cassano all’Ionio, da lui nominato segretario generale della Cei ad quinquennium. Luca Collodi lo ha intervistato, chiedendogli innanzitutto come guardi al suo nuovo impegno:RealAudioMP3

R. – Guardo a questo impegno come ho guardato al mio impegno di vescovo diocesano, come ho guardato al mio impegno anche di prete di periferia in una parrocchia della Puglia, di Cerignola, in provincia di Foggia. Guardo come ad un’opportunità che il Signore mi offre e mi offre attraverso gli uomini – questa volta, attraverso il Santo Padre – per chiedermi di spendermi, di continuare a spendermi per la Chiesa, di continuare a spendermi per coloro che Lui mi farà incontrare.

D. – Come sta cambiando, come cambierà la Chiesa che è in Italia?

R. – Io penso che la Chiesa in Italia stia camminando, ormai da tantissimo; io non sono più giovanissimo, per cui se solo dovessi fare la prova a ricordare gli anni trascorsi da me in Seminario e quelli di adesso, vedo come la Chiesa italiana abbia fatto un percorso davvero bello, davvero straordinario. Però, dire che questo percorso sia finito, che possiamo campare di rendita, sarebbe veramente una brutta illusione, per noi, perché la forza della Chiesa, la forza della Chiesa italiana, sta soprattutto in questo non sentirsi mai appagata, ma soprattutto perché è il Vangelo che non ci permette di sentirci appagati. Penso che i maggiori, i più grandi nemici della Chiesa, anche della Chiesa come istituzione, siano gli spiriti sazi, e gli spiriti sazi possono stare anche tra i vescovi, tra i sacerdoti e tra i laici. Gente, cioè, che pensa ad acquisire o ad avere acquisito delle posizioni e a campare di rendita: così non si è mai vissuto, ma oggi in particolare non si può vivere. Per cui, una Chiesa dinamica, una Chiesa che sappia confrontarsi, una Chiesa che ami – anche – sbagliare, perché è capace, poi, di poter dire: “Ci ho provato, ce l’ho messa tutta per venire incontro alle persone”.

D. – A che punto sono le riflessioni tra i vescovi sui nuovi Statuti?

R. – Io intanto inviterei – lo dico in questa sede – a non assolutizzare gli Statuti: noi stiamo lavorando soprattutto sul clima, sulle relazioni, su quello che di nuovo può assicurare alla Chiesa italiana un dinamismo efficiente, efficace e soprattutto consapevole. E’ chiaro che questo dovrà anche riversarsi negli Statuti; però, prima degli Statuti c’è il doversi chiarire, il doverci chiarire insieme: che obiettivi vogliamo raggiungere? C’è da chiarirsi insieme che tipo di passione, di entusiasmo vogliamo noi, quanta passione, quanto entusiasmo vogliamo noi investire su questa nuova prospettiva che sicuramente Papa Francesco sta imprimendo alla nostra Chiesa … Penso che quando avremo interiorizzato di più questo fatto, questa voglia di stare al passo con quanto il Santo Padre ci dice, e quindi con quanto il Vangelo ci dice, allora penso che il “discorso Statuti” verrà tranquillo, da sé, andrà avanti tranquillamente. Infatti, non ci siamo assolutamente accapigliati, anche perché molti di noi i capelli non li hanno … Ma, non ci siamo accapigliati sugli Statuti: stiamo invece lavorando molto sulla necessità di stabilire relazioni diverse, più intense, più leali, meno formali.

D. – L’Italia vive un periodo di forte crisi economica e sociale: la Chiesa italiana come pensa di servire il Paese?

R. – Penso che debba servire il Paese recuperando – se ciò fosse ancora necessario – il suo specifico. La Chiesa non è la stampella dello Stato; la Chiesa non è la stampella attraverso le sue organizzazioni per quello che lo Stato non riesce a fare; anzi, la Chiesa deve fare da stimolo perché lo Stato apra gli occhi sui problemi reali e non faccia lo strabico, lo Stato: è uno strabismo pericolosissimo, perché è dovuto non a malattie congenite, perché l’Italia non è così. E’ dovuto invece ad uno strabismo ideologico, e questo è pericolosissimo. E allora se la Chiesa, con grande lealtà, con grande impegno, con grande passione, aiuta lo Stato a de-ideologizzarsi, vuol dire che l’aiuterà anche ad avere uno sguardo sereno e reale sui problemi e sulle speranze che oggi veramente toccano la nostra società. E le speranze e i problemi sono le speranze e i problemi che riguardano le famiglie, sono i problemi e le speranze che riguardano i giovani … Non dimentichiamolo, tutto questo!

D. – E proprio su questo apriamo il tema delle riforme istituzionali: lavoro e famiglia. Potrebbero essere queste – e glielo dico in modo forse un po’ provocatorio – le uniche due riforme da fare per riportare il Paese ad un livello accettabile?

R. – Io non penso che il problema debba porsi in termini di quantità di riforme da fare, ma di qualità di riforme da fare. Faccio un esempio semplicissimo: lei ha parlato della riforma della famiglia, no? Ma se la riforma della famiglia viene fatta in maniera corretta, viene fatta in maniera integrale e non ideologica, è chiaro che parlare della riforma della famiglia significa metterla innanzitutto al centro della nostra società, ma non con le chiacchiere, non con le manifestazioni esterne, ma incominciando anche a capire quante risorse si possono investire sulla famiglia! Perché di chiacchiere sulla famiglia se ne sono fatte già troppe, da tutte le parti; ma di fatto, di famiglie che fanno fatica ad andare avanti ce ne sono tante: sembra addirittura demagogico ancora affermare questo! Allora, se una riforma sulla famiglia viene fatta seriamente, come attenzione, come opportunità offerte alla famiglia, anche come capacità di valorizzare il ruolo della famiglia, io penso che il problema – ripeto – non sia la quantità di riforme. E’ chiaro che se tu metti in grado una famiglia di fare bene il suo mestiere, di raggiungere bene i suoi obiettivi che sono quelli dettati dalla Costituzione, tu lì metti una famiglia in grado di educare bene, metti la famiglia in grado anche di progettare il futuro dei propri figli … Se invece noi, come si sta facendo, purtroppo, parliamo della famiglia ma unicamente per proporne le alternative … Qui nessuno sta a dire che non dobbiamo garantire i diritti delle singole persone; però, sappiamo tutti che chi assicura futuro a questa nostra benedetta società è la famiglia. E allora, investire di più sulla famiglia!

D. – Oggi, nelle scuole, invece, sembra passare una lettura ideologica della famiglia: mi riferisco, per esempio, alla “teoria del gender” …

R. – Assolutamente! Quella è stata, secondo me, una caduta di stile grandiosa, da parte del governo – non so se quello presente o quello passato. Ma a me pare – scusate, non so se si può dire, questo – mi sembra addirittura ridicolo che un Ministero dica: “Non sapevamo niente della distribuzione di volumi che sono nati dall’interno del Ministero”, perché non conosco bene le gerarchie: ma un dipartimento, un organismo del Ministero non mi sembra che possa essere alla mercé del primo ideologo che viene lì, e può investire soldi su questo … Ecco, proprio a proposito di questo, volevo dire proprio questo: essere attenti alla famiglia. Ma, scusate, la famiglia che fine ha fatto in questa situazione? Cioè: arriva qualcuno dall’esterno della Scuola e mi educa mio figlio, mi educa mia figlia a cose che probabilmente io non avrei mai voluto dire a mio figlio o a mia figlia, ma non perché sono bigotto, ma perché le ritengo idiozia, ma perché le ritengo una riduzione, perché la ritengo un modo banale di affrontare realtà straordinariamente importanti, quali lo sono la differenza sessuale, quali lo sono anche le capacità belle che stanno in questa differenza, no? Questa omologazione … lì, la famiglia, che fine ha fatto? Non sono proprio stati informati, i familiari, che ad un certo punto si sarebbero presentati alcuni signori – o signorine, non so chi sia andato nelle scuole – a distribuire questi volumi come se fosse l’ultimo Verbo! Ma con chi le avete confrontate, queste cose? La famiglia ci sta, o non ci sta? Lo dico al governo: parlare di riforma della famiglia significa innanzitutto recuperare il ruolo di soggetto della famiglia. Non è lo Stato che educa, non è la Chiesa che educa: è la famiglia, sono i genitori!

D. – Papa Francesco ha ricordato che la classe dirigente lontana dal popolo si corrompe. C’è l’incapacità, oggi, in Italia, da parte dei politici di lavorare insieme per un progetto di bene comune?

R. – Io non sono stato presente, perché tra l’altro non sono un politico, alla Messa del Papa. Il Papa è stato molto buono, secondo me, a dire che si corrompono solo quelli che stanno lontani dalla gente. Ci sono anche quelli i quali, quando stanno con gli altri, anzi, fanno un poco peggio, perché mettono insieme la voglia di corrompersi a vicenda, anzi: fanno un poco a gara, alcuni. Ma, a parte la battuta, a parte gli scherzi: certamente, quando manca la presenza della gente, quando manca il contatto con le persone, con i fatti reali delle persone, è evidente che il politico soffre della “sindrome del Padreterno”! Ma d’altra parte, tutta questa gente che dice che non sapeva niente quando le pagano le case, che non sa niente quando le fanno fare i viaggi all’estero, che non sa niente quando le regalano fior di scemenze, che costano però tantissimo, perché dicono che non ne sanno niente? Non ne sanno niente, probabilmente perché non guardano in faccia la gente.

D. – Chiudiamo questo nostro dialogo con una riflessione sulla comunicazione cattolica in Italia. Quali sono le prospettive?

R. – Io penso che la comunicazione in Italia abbia potenzialità straordinarie; dovremmo però, secondo me, essere meno bigotti, tutti quanti. Cioè, essere capaci di intercettare come gli altri e prima degli altri, perché una sensibilità grande nei nostri mezzi di comunicazione sociale, c’è. Noi abbiamo fior di professionisti che però molte volte, per un malinteso senso di ecclesialità, per un malinteso senso di fedeltà alla Chiesa, diventano più bigotti dei bigotti. E questo tipo di comunicazione non va da nessuna parte: non serve a nessuno! Non serve a nessuno!







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