Intervista a mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei
Papa Francesco ha ricevuto giovedì scorso mons. Nunzio Galantino, vescovo di
Cassano all’Ionio, da lui nominato segretario generale della Cei ad quinquennium.
Luca Collodi lo ha intervistato, chiedendogli innanzitutto come guardi al suo
nuovo impegno:
R. – Guardo
a questo impegno come ho guardato al mio impegno di vescovo diocesano, come ho guardato
al mio impegno anche di prete di periferia in una parrocchia della Puglia, di Cerignola,
in provincia di Foggia. Guardo come ad un’opportunità che il Signore mi offre e mi
offre attraverso gli uomini – questa volta, attraverso il Santo Padre – per chiedermi
di spendermi, di continuare a spendermi per la Chiesa, di continuare a spendermi per
coloro che Lui mi farà incontrare.
D. – Come sta cambiando, come cambierà
la Chiesa che è in Italia?
R. – Io penso che la Chiesa in Italia stia camminando,
ormai da tantissimo; io non sono più giovanissimo, per cui se solo dovessi fare la
prova a ricordare gli anni trascorsi da me in Seminario e quelli di adesso, vedo come
la Chiesa italiana abbia fatto un percorso davvero bello, davvero straordinario. Però,
dire che questo percorso sia finito, che possiamo campare di rendita, sarebbe veramente
una brutta illusione, per noi, perché la forza della Chiesa, la forza della Chiesa
italiana, sta soprattutto in questo non sentirsi mai appagata, ma soprattutto perché
è il Vangelo che non ci permette di sentirci appagati. Penso che i maggiori, i più
grandi nemici della Chiesa, anche della Chiesa come istituzione, siano gli spiriti
sazi, e gli spiriti sazi possono stare anche tra i vescovi, tra i sacerdoti e tra
i laici. Gente, cioè, che pensa ad acquisire o ad avere acquisito delle posizioni
e a campare di rendita: così non si è mai vissuto, ma oggi in particolare non si può
vivere. Per cui, una Chiesa dinamica, una Chiesa che sappia confrontarsi, una Chiesa
che ami – anche – sbagliare, perché è capace, poi, di poter dire: “Ci ho provato,
ce l’ho messa tutta per venire incontro alle persone”.
D. – A che punto sono
le riflessioni tra i vescovi sui nuovi Statuti?
R. – Io intanto inviterei –
lo dico in questa sede – a non assolutizzare gli Statuti: noi stiamo lavorando soprattutto
sul clima, sulle relazioni, su quello che di nuovo può assicurare alla Chiesa italiana
un dinamismo efficiente, efficace e soprattutto consapevole. E’ chiaro che questo
dovrà anche riversarsi negli Statuti; però, prima degli Statuti c’è il doversi chiarire,
il doverci chiarire insieme: che obiettivi vogliamo raggiungere? C’è da chiarirsi
insieme che tipo di passione, di entusiasmo vogliamo noi, quanta passione, quanto
entusiasmo vogliamo noi investire su questa nuova prospettiva che sicuramente Papa
Francesco sta imprimendo alla nostra Chiesa … Penso che quando avremo interiorizzato
di più questo fatto, questa voglia di stare al passo con quanto il Santo Padre ci
dice, e quindi con quanto il Vangelo ci dice, allora penso che il “discorso Statuti”
verrà tranquillo, da sé, andrà avanti tranquillamente. Infatti, non ci siamo assolutamente
accapigliati, anche perché molti di noi i capelli non li hanno … Ma, non ci siamo
accapigliati sugli Statuti: stiamo invece lavorando molto sulla necessità di stabilire
relazioni diverse, più intense, più leali, meno formali.
D. – L’Italia vive
un periodo di forte crisi economica e sociale: la Chiesa italiana come pensa di servire
il Paese?
R. – Penso che debba servire il Paese recuperando – se ciò fosse
ancora necessario – il suo specifico. La Chiesa non è la stampella dello Stato; la
Chiesa non è la stampella attraverso le sue organizzazioni per quello che lo Stato
non riesce a fare; anzi, la Chiesa deve fare da stimolo perché lo Stato apra gli occhi
sui problemi reali e non faccia lo strabico, lo Stato: è uno strabismo pericolosissimo,
perché è dovuto non a malattie congenite, perché l’Italia non è così. E’ dovuto invece
ad uno strabismo ideologico, e questo è pericolosissimo. E allora se la Chiesa, con
grande lealtà, con grande impegno, con grande passione, aiuta lo Stato a de-ideologizzarsi,
vuol dire che l’aiuterà anche ad avere uno sguardo sereno e reale sui problemi e sulle
speranze che oggi veramente toccano la nostra società. E le speranze e i problemi
sono le speranze e i problemi che riguardano le famiglie, sono i problemi e le speranze
che riguardano i giovani … Non dimentichiamolo, tutto questo!
D. – E proprio
su questo apriamo il tema delle riforme istituzionali: lavoro e famiglia. Potrebbero
essere queste – e glielo dico in modo forse un po’ provocatorio – le uniche due riforme
da fare per riportare il Paese ad un livello accettabile?
R. – Io non penso
che il problema debba porsi in termini di quantità di riforme da fare, ma di qualità
di riforme da fare. Faccio un esempio semplicissimo: lei ha parlato della riforma
della famiglia, no? Ma se la riforma della famiglia viene fatta in maniera corretta,
viene fatta in maniera integrale e non ideologica, è chiaro che parlare della riforma
della famiglia significa metterla innanzitutto al centro della nostra società, ma
non con le chiacchiere, non con le manifestazioni esterne, ma incominciando anche
a capire quante risorse si possono investire sulla famiglia! Perché di chiacchiere
sulla famiglia se ne sono fatte già troppe, da tutte le parti; ma di fatto, di famiglie
che fanno fatica ad andare avanti ce ne sono tante: sembra addirittura demagogico
ancora affermare questo! Allora, se una riforma sulla famiglia viene fatta seriamente,
come attenzione, come opportunità offerte alla famiglia, anche come capacità di valorizzare
il ruolo della famiglia, io penso che il problema – ripeto – non sia la quantità di
riforme. E’ chiaro che se tu metti in grado una famiglia di fare bene il suo mestiere,
di raggiungere bene i suoi obiettivi che sono quelli dettati dalla Costituzione, tu
lì metti una famiglia in grado di educare bene, metti la famiglia in grado anche di
progettare il futuro dei propri figli … Se invece noi, come si sta facendo, purtroppo,
parliamo della famiglia ma unicamente per proporne le alternative … Qui nessuno sta
a dire che non dobbiamo garantire i diritti delle singole persone; però, sappiamo
tutti che chi assicura futuro a questa nostra benedetta società è la famiglia. E allora,
investire di più sulla famiglia!
D. – Oggi, nelle scuole, invece, sembra passare
una lettura ideologica della famiglia: mi riferisco, per esempio, alla “teoria del
gender” …
R. – Assolutamente! Quella è stata, secondo me, una caduta di stile
grandiosa, da parte del governo – non so se quello presente o quello passato. Ma a
me pare – scusate, non so se si può dire, questo – mi sembra addirittura ridicolo
che un Ministero dica: “Non sapevamo niente della distribuzione di volumi che sono
nati dall’interno del Ministero”, perché non conosco bene le gerarchie: ma un dipartimento,
un organismo del Ministero non mi sembra che possa essere alla mercé del primo ideologo
che viene lì, e può investire soldi su questo … Ecco, proprio a proposito di questo,
volevo dire proprio questo: essere attenti alla famiglia. Ma, scusate, la famiglia
che fine ha fatto in questa situazione? Cioè: arriva qualcuno dall’esterno della Scuola
e mi educa mio figlio, mi educa mia figlia a cose che probabilmente io non avrei mai
voluto dire a mio figlio o a mia figlia, ma non perché sono bigotto, ma perché le
ritengo idiozia, ma perché le ritengo una riduzione, perché la ritengo un modo banale
di affrontare realtà straordinariamente importanti, quali lo sono la differenza sessuale,
quali lo sono anche le capacità belle che stanno in questa differenza, no? Questa
omologazione … lì, la famiglia, che fine ha fatto? Non sono proprio stati informati,
i familiari, che ad un certo punto si sarebbero presentati alcuni signori – o signorine,
non so chi sia andato nelle scuole – a distribuire questi volumi come se fosse l’ultimo
Verbo! Ma con chi le avete confrontate, queste cose? La famiglia ci sta, o non ci
sta? Lo dico al governo: parlare di riforma della famiglia significa innanzitutto
recuperare il ruolo di soggetto della famiglia. Non è lo Stato che educa, non è la
Chiesa che educa: è la famiglia, sono i genitori!
D. – Papa Francesco ha ricordato
che la classe dirigente lontana dal popolo si corrompe. C’è l’incapacità, oggi, in
Italia, da parte dei politici di lavorare insieme per un progetto di bene comune?
R.
– Io non sono stato presente, perché tra l’altro non sono un politico, alla Messa
del Papa. Il Papa è stato molto buono, secondo me, a dire che si corrompono solo quelli
che stanno lontani dalla gente. Ci sono anche quelli i quali, quando stanno con gli
altri, anzi, fanno un poco peggio, perché mettono insieme la voglia di corrompersi
a vicenda, anzi: fanno un poco a gara, alcuni. Ma, a parte la battuta, a parte gli
scherzi: certamente, quando manca la presenza della gente, quando manca il contatto
con le persone, con i fatti reali delle persone, è evidente che il politico soffre
della “sindrome del Padreterno”! Ma d’altra parte, tutta questa gente che dice che
non sapeva niente quando le pagano le case, che non sa niente quando le fanno fare
i viaggi all’estero, che non sa niente quando le regalano fior di scemenze, che costano
però tantissimo, perché dicono che non ne sanno niente? Non ne sanno niente, probabilmente
perché non guardano in faccia la gente.
D. – Chiudiamo questo nostro dialogo
con una riflessione sulla comunicazione cattolica in Italia. Quali sono le prospettive?
R.
– Io penso che la comunicazione in Italia abbia potenzialità straordinarie; dovremmo
però, secondo me, essere meno bigotti, tutti quanti. Cioè, essere capaci di intercettare
come gli altri e prima degli altri, perché una sensibilità grande nei nostri mezzi
di comunicazione sociale, c’è. Noi abbiamo fior di professionisti che però molte volte,
per un malinteso senso di ecclesialità, per un malinteso senso di fedeltà alla Chiesa,
diventano più bigotti dei bigotti. E questo tipo di comunicazione non va da nessuna
parte: non serve a nessuno! Non serve a nessuno!