Carriquiry: l’amore per il popolo di Papa Francesco è radicato nel Concilio Vaticano
II
“Per capire davvero una persona, dobbiamo conoscere le sue radici”. Con queste parole,
il direttore di Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, ha dato ieri il via a una
due giorni di studi sul “Concilio Vaticano II in America Latina e le radici di Papa
Francesco”. L’iniziativa è promossa in sinergia dalla storica rivista dei Gesuiti,
dalla Pontificia Università Gregoriana e dal Collegio sacerdotale argentino. A tenere
la relazione introduttiva il prof. Guzmán Carriquiry, segretario della
Pontificia Commissione per l'America Latina e amico di lunga data di Jorge Mario Bergoglio,
che – intervistato da Alessandro Gisotti – si sofferma sugli aspetti del Concilio
che più emergono nell’azione pastorale di Papa Francesco:
R. - L’immagine
che Papa Francesco predilige della Chiesa è quella del Popolo di Dio, così presente
nella Costituzione conciliare sulla Chiesa, Lumen Gentium. Il Popolo di Dio
non soltanto come autocoscienza teologica, ma anche nella sua consistenza storica,
sociale, culturale. Il pastore in mezzo al suo popolo in cammino: questa è un’immagine
che Papa Francesco porta certamente nel suo cuore e che segna lo stile del suo ministero
petrino. È un popolo che manifesta anche il senso della vicinanza di Dio e la sete
di trascendenza attraverso le diverse manifestazioni della pietà popolare, segno dell’inculturazione
della fede cattolica nella vita e nella storia dei diversi popoli. Credo che questo
sia l’elemento del Concilio Vaticano II che caratterizza in modo più presente la testimonianza
ed il ministero di Papa Francesco.
D. - Ovviamente, questa dimensione del popolo
era molto presente anche nel pastore Bergoglio in Argentina. Lei che lo conosce da
molto tempo ha visto sviluppare ed approfondire questo suo essere "vescovo con il
popolo", come adesso abbiamo imparato anche noi a Roma...
R. - Esattamente:
la prossimità, la vicinanza, la familiarità con il suo popolo, l’essere compenetrato
con le sofferenze, le speranze del proprio popolo e lo stare con la gente. Questa
è stata l’impostazione pastorale del vescovo Bergoglio durante i suoi anni di ministero
a Buenos Aires. Ma questo viene espresso anche dopo, nell’avvenimento e nel documento
di Aparecida che raccoglie l’esperienza di tutta la Chiesa latinoamericana. Quello
dell’America Latina è un popolo in cui le maggioranze sono di poveri cristiani; cristiani
che soffrono in condizioni di povertà e che vedono nella Chiesa il segno della loro
dignità e della loro speranza. Dunque, questa autocoscienza della Chiesa come Popolo
di Dio, questo rivalutare la loro pietà popolare, è allo stesso tempo costruire una
"Chiesa povera per i poveri" alla quale Papa Francesco fa sempre riferimento.
D.
- Lei conosce Jorge Mario Bergoglio da molti anni. Cosa l’ha colpita e cosa continua
a colpirla nel passaggio dall’essere vescovo di Buenos Aires ad essere Vescovo di
Roma?
R. - Credo che il senso spirituale e questa grande capacità di discernimento,
l’arte di governo, l’impostazione pastorale sono le stesse nel vescovo Bergoglio e
in Papa Francesco. Forse la grazia di stato l’ha ringiovanito, l’ha ringiovanito!
Gli ha permesso di esprimere molto più apertamente un senso di cordialità, di affezione
verso la gente, verso il proprio popolo che a Buenos Aires soprattutto si manifestava
nei grandi incontri nei santuari, durante le grandi feste patronali. L’ha reso ancora
più serenamente libero e determinato nel suo ministero. È certamente un padre imprevedibile.
Conoscendolo bene come arcivescovo di Buenos Aires, ci richiede ancora a tutti di
essere aperti, accoglienti alle sorprese di Dio oltre i nostri schemi, le nostre sicurezze
anche quelle pastorali, ecclesiastiche e spirituali.