2014-03-26 08:58:31

Il Papa incoraggia i leader religiosi del Centrafrica: parlerà della situazione con Obama


Al termine dell'udienza generale, il Papa ha incontrato i rappresentanti della “Piattaforma dei religiosi per la pace” in Centrafrica, composta da mons. Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo di Bangui, dal pastore Nicolas Grékoyamé-Gbangou, presidente delle Chiese Evangeliche, e dall’Imam di Bangui, Oumar Kobine Layama. Papa Francesco li ha incoraggiati a restare uniti, vicini al proprio popolo, continuando a operare contro ogni divisione. Ha quindi assicurato che parlerà del Centrafrica nell'incontro col presidente degli Stati Uniti Obama. I tre leader religiosi, che prima dell'udienza generale sono stati ricevuti dal cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, da tempo si stanno spendendo per pacificare il Paese, incontrando vari leader della comunità internazionale. Marie Duhamel li ha intervistati. Ascoltiamo, innanzitutto, l’arcivescovo di Bangui:RealAudioMP3

R. – Et sans voir, ce sont des hommes, des femmes centrafricains qui sont …
Sono uomini e donne centrafricani che vivono nella boscaglia, smarriti, terrorizzati, che non sono più nemmeno capaci di esprimere le loro sensazioni o che, camminando per la strada, parlano ma sono convinti che nessuno li ascolti. A loro nome, ho fatto la scelta, insieme agli altri, di andare ad incontrare le autorità, coloro che decidono, perché possano ascoltare dalla nostra viva voce la preoccupazione, la sofferenza, la pena e la miseria di queste persone che piangono e che aumentano sempre di numero. Questo è il senso della nostra missione nei confronti delle autorità di questo mondo.

D. – Cosa chiede questo grido?

R. – Ce cri demande actuellement la sécurité car sans la sécurité on ne pourra pas …
Questo grido chiede attualmente la sicurezza, perché senza la sicurezza non si potrà tornare a scuola, non si potranno riprendere le attività ospedaliere, non si potranno riprendere le attività agricole e nemmeno quelle amministrative: tutto rimarrà paralizzato come lo è attualmente. Non c’è sicurezza: noi ne vediamo le conseguenze! Tutto è al punto zero. Visto che le fazioni rivali del Seleka e degli anti-balaka non riescono a proteggere il popolo centrafricano, abbiamo rivolto un appello affinché la comunità internazionale intervenga per proteggere il popolo centrafricano: il Centrafrica è parte del consesso delle Nazioni ed è assolutamente impossibile rimanere a guardare, nella completa indifferenza, uomini e donne che muoiono come bestie, non si può restare così senza muovere un dito! E’ tempo di agire, affinché un domani la storia non ci condanni chiedendoci: “Cosa avete fatto dei vostri fratelli?”.

D. – Avete avuto una risposta positiva dall’Onu e dai dirigenti che avete incontrato?

R. – Nous avons des réponses que nous laissent croire que demain serait meilleur, …
Abbiamo ricevuto risposte che ci aiutano a credere che il domani sarà migliore: lo stesso segretario generale dell’Onu ha detto che sta preparando una Risoluzione che vada nel senso di un intervento dei Caschi blu. Abbiamo incontrato anche altri responsabili che ci hanno fatto capire che tutti sono disposti ad allearsi affinché si dia inizio ad un’operazione per il mantenimento della pace: prima avverrà tanto meglio sarà, perché più i giorni passano e più cresce il numero dei centrafricani che muoiono.


Sul rapporto tra le religioni in questo difficile momento del Centrafrica si sofferma l’imam di Bangui, Oumar Kobine Layama:

R. – Le croyant, quelque soit la circonstance, doit…
Il credente deve conservare la fede in qualsiasi circostanza e davanti alle difficoltà dobbiamo chiederci: “Cosa è successo? Cosa abbiamo fatto? Forse è a causa del nostro comportamento che Dio ci ha messo alla prova, facendoci vivere questo dramma? O forse, è per darci una lezione affinché impariamo ad accettare Dio in ogni situazione?”. La fede non c’è soltanto nei momenti felici, deve esserci anche nel tempo della disgrazia. Quindi, il messaggio che io voglio passare è quello della fede che significa sopportazione, pazienza e tolleranza, che formano il carattere e le virtù di un vero credente. Chiedo ai miei fratelli musulmani tolleranza e pazienza, perché Dio ci riporti la pace e la coesione sociale.

D. – Sono stati rivolti diversi appelli alla Jihad, soprattutto tramite il Mali…

R. – Bon, le Jihad sur les sites maliens, je suis au courant de tout ça…
Sì, sono al corrente dell’appello alla Jihad in Mali, ma mi chiedo: la Jihad, la guerra santa contro chi? È questa la domanda che mi pongo: proteggere i musulmani, ma contro chi? Perché, essenzialmente, i musulmani sono protetti dai cristiani nelle loro chiese: la maggioranza dei musulmani trova protezione presso i religiosi cristiani, protestanti e cattolici, ma in gran maggioranza cattolici… E quindi, andare a buttare le bombe dove? In quelle stesse chiese che hanno accordato protezione ai musulmani? Oppure, per disturbare quegli stessi leader religiosi cristiani che proteggono i musulmani? Veramente questo non è l’islam che Dio ci ha affidato. Dio ci ha affidato un islam di pace, di tolleranza e di pazienza, di sopportazione in tutte le prove. Penso che noi musulmani ci troviamo oggi di fronte a queste difficoltà perché noi abbiamo scelto il silenzio complice: non abbiamo mai denunciato, nella nostra comunità, gli abusi, i comportamenti dei nostri fratelli che erano nel Seleka. Non ci siamo assunti le nostre responsabilità. Ecco, oggi abbiamo le conseguenze che Dio ci ha mandato. Per questo, è necessario che esaminiamo i nostri comportamenti per agire di conseguenza, chiedere perdono a Dio per quanto ci riguarda, affinché Dio ci aiuti, insieme agli altri, a ristabilire la coesione sociale. Se in questo momento perdiamo la nostra fede, la nostra situazione non potrà migliorare: rischiamo un disastro sull’altro, nonostante gli sforzi della comunità internazionale. Siamo noi, prima di tutto, davanti alle nostre coscienze, che dobbiamo riunirci, riconciliarci, per aiutare la comunità internazionale che si preoccupa della nostra situazione.


Il pastore Nicolas Grékoyamé-Gbangou, presidente delle Chiese Evangeliche, ricorda che non ci sono “milizie cristiane” in Centrafrica:

R. – Il n’y a jamais eu une milice chrétienne en Centrafrique : les anti-balaka …
Non c’è mai stata una milizia cristiana in Centrafrica: gli anti-balaka sono delle bande di autodifesa a livello di villaggi, che ora, per forza di cose, si sono costituiti in milizie, per contrastare e ostacolare il Seleka. Non si può parlare di “milizia cristiana”.

D. – Ha provato a parlare direttamente con queste persone?

R. – Bah, ils sont là, parsemés dans le quartier ou nous sommes, et on …
Vivono nel nostro stesso quartiere e noi cerchiamo di farli tornare alla ragione, per far loro comprendere che in realtà chi ci va di mezzo è la popolazione e che è importante cercare di fermare le ostilità.

D. – La situazione è drammatica dal punto di vista della sicurezza e alimentare. Quale il suo auspicio?

R. – Nous pensons que la communauté internationale va entendre notre cri et …
Noi immaginiamo che la comunità internazionale ascolterà il nostro grido di dolore e quelle delle persone che si trovano in difficoltà, e che quindi intervenga presto per risolvere la situazione degli sfollati interni e anche delle persone che sono rimaste a casa ma la cui situazione è in pericolo. Noi pensiamo che sia necessario ristabilire la sicurezza e velocemente, con l’aiuto delle Nazioni Unite e di tutte le persone di buona volontà. Coloro che hanno il compito di venire in aiuto delle persone in difficoltà, devono farlo rapidamente …







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