Il Papa incoraggia i leader religiosi del Centrafrica: parlerà della situazione con
Obama
Al termine dell'udienza generale, il Papa ha incontrato i rappresentanti della “Piattaforma
dei religiosi per la pace” in Centrafrica, composta da mons. Dieudonné Nzapalainga,
arcivescovo di Bangui, dal pastore Nicolas Grékoyamé-Gbangou, presidente delle Chiese
Evangeliche, e dall’Imam di Bangui, Oumar Kobine Layama. Papa Francesco li ha incoraggiati
a restare uniti, vicini al proprio popolo, continuando a operare contro ogni divisione.
Ha quindi assicurato che parlerà del Centrafrica nell'incontro col presidente degli
Stati Uniti Obama. I tre leader religiosi, che prima dell'udienza generale sono stati
ricevuti dal cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, da tempo si stanno spendendo
per pacificare il Paese, incontrando vari leader della comunità internazionale. Marie
Duhamel li ha intervistati. Ascoltiamo, innanzitutto, l’arcivescovo di Bangui:
R. – Et sans
voir, ce sont des hommes, des femmes centrafricains qui sont … Sono uomini e donne
centrafricani che vivono nella boscaglia, smarriti, terrorizzati, che non sono più
nemmeno capaci di esprimere le loro sensazioni o che, camminando per la strada, parlano
ma sono convinti che nessuno li ascolti. A loro nome, ho fatto la scelta, insieme
agli altri, di andare ad incontrare le autorità, coloro che decidono, perché possano
ascoltare dalla nostra viva voce la preoccupazione, la sofferenza, la pena e la miseria
di queste persone che piangono e che aumentano sempre di numero. Questo è il senso
della nostra missione nei confronti delle autorità di questo mondo.
D. – Cosa
chiede questo grido?
R. – Ce cri demande actuellement la sécurité car sans
la sécurité on ne pourra pas … Questo grido chiede attualmente la sicurezza, perché
senza la sicurezza non si potrà tornare a scuola, non si potranno riprendere le attività
ospedaliere, non si potranno riprendere le attività agricole e nemmeno quelle amministrative:
tutto rimarrà paralizzato come lo è attualmente. Non c’è sicurezza: noi ne vediamo
le conseguenze! Tutto è al punto zero. Visto che le fazioni rivali del Seleka e degli
anti-balaka non riescono a proteggere il popolo centrafricano, abbiamo rivolto un
appello affinché la comunità internazionale intervenga per proteggere il popolo centrafricano:
il Centrafrica è parte del consesso delle Nazioni ed è assolutamente impossibile rimanere
a guardare, nella completa indifferenza, uomini e donne che muoiono come bestie, non
si può restare così senza muovere un dito! E’ tempo di agire, affinché un domani la
storia non ci condanni chiedendoci: “Cosa avete fatto dei vostri fratelli?”.
D.
– Avete avuto una risposta positiva dall’Onu e dai dirigenti che avete incontrato?
R.
– Nous avons des réponses que nous laissent croire que demain serait meilleur, … Abbiamo
ricevuto risposte che ci aiutano a credere che il domani sarà migliore: lo stesso
segretario generale dell’Onu ha detto che sta preparando una Risoluzione che vada
nel senso di un intervento dei Caschi blu. Abbiamo incontrato anche altri responsabili
che ci hanno fatto capire che tutti sono disposti ad allearsi affinché si dia inizio
ad un’operazione per il mantenimento della pace: prima avverrà tanto meglio sarà,
perché più i giorni passano e più cresce il numero dei centrafricani che muoiono.
Sul
rapporto tra le religioni in questo difficile momento del Centrafrica si sofferma
l’imam di Bangui, Oumar Kobine Layama:
R. – Le croyant, quelque soit
la circonstance, doit… Il credente deve conservare la fede in qualsiasi circostanza
e davanti alle difficoltà dobbiamo chiederci: “Cosa è successo? Cosa abbiamo fatto?
Forse è a causa del nostro comportamento che Dio ci ha messo alla prova, facendoci
vivere questo dramma? O forse, è per darci una lezione affinché impariamo ad accettare
Dio in ogni situazione?”. La fede non c’è soltanto nei momenti felici, deve esserci
anche nel tempo della disgrazia. Quindi, il messaggio che io voglio passare è quello
della fede che significa sopportazione, pazienza e tolleranza, che formano il carattere
e le virtù di un vero credente. Chiedo ai miei fratelli musulmani tolleranza e pazienza,
perché Dio ci riporti la pace e la coesione sociale.
D. – Sono stati rivolti
diversi appelli alla Jihad, soprattutto tramite il Mali…
R. – Bon, le Jihad
sur les sites maliens, je suis au courant de tout ça… Sì, sono al corrente dell’appello
alla Jihad in Mali, ma mi chiedo: la Jihad, la guerra santa contro chi? È questa la
domanda che mi pongo: proteggere i musulmani, ma contro chi? Perché, essenzialmente,
i musulmani sono protetti dai cristiani nelle loro chiese: la maggioranza dei musulmani
trova protezione presso i religiosi cristiani, protestanti e cattolici, ma in gran
maggioranza cattolici… E quindi, andare a buttare le bombe dove? In quelle stesse
chiese che hanno accordato protezione ai musulmani? Oppure, per disturbare quegli
stessi leader religiosi cristiani che proteggono i musulmani? Veramente questo non
è l’islam che Dio ci ha affidato. Dio ci ha affidato un islam di pace, di tolleranza
e di pazienza, di sopportazione in tutte le prove. Penso che noi musulmani ci troviamo
oggi di fronte a queste difficoltà perché noi abbiamo scelto il silenzio complice:
non abbiamo mai denunciato, nella nostra comunità, gli abusi, i comportamenti dei
nostri fratelli che erano nel Seleka. Non ci siamo assunti le nostre responsabilità.
Ecco, oggi abbiamo le conseguenze che Dio ci ha mandato. Per questo, è necessario
che esaminiamo i nostri comportamenti per agire di conseguenza, chiedere perdono a
Dio per quanto ci riguarda, affinché Dio ci aiuti, insieme agli altri, a ristabilire
la coesione sociale. Se in questo momento perdiamo la nostra fede, la nostra situazione
non potrà migliorare: rischiamo un disastro sull’altro, nonostante gli sforzi della
comunità internazionale. Siamo noi, prima di tutto, davanti alle nostre coscienze,
che dobbiamo riunirci, riconciliarci, per aiutare la comunità internazionale che si
preoccupa della nostra situazione.
Il pastore Nicolas Grékoyamé-Gbangou,
presidente delle Chiese Evangeliche, ricorda che non ci sono “milizie cristiane” in
Centrafrica:
R. – Il n’y a jamais eu une milice chrétienne en Centrafrique
: les anti-balaka … Non c’è mai stata una milizia cristiana in Centrafrica: gli
anti-balaka sono delle bande di autodifesa a livello di villaggi, che ora, per forza
di cose, si sono costituiti in milizie, per contrastare e ostacolare il Seleka. Non
si può parlare di “milizia cristiana”.
D. – Ha provato a parlare direttamente
con queste persone?
R. – Bah, ils sont là, parsemés dans le quartier ou nous
sommes, et on … Vivono nel nostro stesso quartiere e noi cerchiamo di farli tornare
alla ragione, per far loro comprendere che in realtà chi ci va di mezzo è la popolazione
e che è importante cercare di fermare le ostilità.
D. – La situazione è drammatica
dal punto di vista della sicurezza e alimentare. Quale il suo auspicio?
R.
– Nous pensons que la communauté internationale va entendre notre cri et … Noi
immaginiamo che la comunità internazionale ascolterà il nostro grido di dolore e quelle
delle persone che si trovano in difficoltà, e che quindi intervenga presto per risolvere
la situazione degli sfollati interni e anche delle persone che sono rimaste a casa
ma la cui situazione è in pericolo. Noi pensiamo che sia necessario ristabilire la
sicurezza e velocemente, con l’aiuto delle Nazioni Unite e di tutte le persone di
buona volontà. Coloro che hanno il compito di venire in aiuto delle persone in difficoltà,
devono farlo rapidamente …