Il Papa: la “grande scuola” per chi si dedica ai malati è la Passione di Gesù
Non c’è tipo di malattia o di sofferenza psicofisica nella quale non si possa riconoscere
il valore sacro della vita umana e il segno della Passione di Cristo, che spinge a
curare chi soffre con amore, difendendone la dignità. Lo ha detto Papa Francesco ai
membri della Plenaria del Pontificio Consiglio degli Operatori Sanitari. Il servizio
di Alessandro De Carolis:
C’è un grande
abbraccio di Dio che si stringe attorno alla “carne di Cristo”, che consola chi soffre
per una malattia, una disabilità, e che spesso, oltre alla sopportazione del male
fisico, vive anche il gelo dell’abbandono, dell’indifferenza. “Carne di Cristo”, come
ama definirla Papa Francesco, che ricorda al dicastero degli Operatori Sanitari come
l’esperienza del Calvario abbia ribaltato ogni prospettiva legata al dolore, dando
un senso anche alla più grave infermità umana:
“E’ vero, infatti, che anche
nella sofferenza nessuno è mai solo, perché Dio nel suo amore misericordioso per l’uomo
e per il mondo abbraccia anche le situazioni più disumane, nelle quali l’immagine
del Creatore presente in ogni persona appare offuscata o sfigurata. Così è stato per
Gesù nella sua Passione. In Lui ogni dolore umano, ogni angoscia, ogni patimento è
stato assunto per amore, per pura volontà di esserci vicino, di essere con noi”.
“Nella
Passione di Gesù – è l’affermazione centrale di Papa Francesco – c’è la più grande
scuola per chiunque voglia dedicarsi al servizio dei fratelli malati e sofferenti”:
“L’esperienza della condivisione fraterna con chi soffre ci apre alla vera
bellezza della vita umana, che comprende la sua fragilità. Nella custodia e nella
promozione della vita, in qualunque stadio e condizione si trovi, possiamo riconoscere
la dignità e il valore di ogni singolo essere umano, dal concepimento fino alla morte”.
Papa Francesco ricorda Giovanni Paolo II e la sua Lettera di 30 anni fa,
la Salvifici doloris, sul significato della sofferenza in ottica cristiana.
Ma soprattutto ne rammenta l’essere stato, sul finire della vita, testimone “esemplare”
dei suoi stessi insegnamenti, un “magistero vivente”, amato e venerato da milioni
di persone. E dunque, un esempio e un magistero – indica il papa ai mebri della Plenaria
– che chiede di essere imitato:
“Cari amici, nel quotidiano svolgimento
del nostro servizio, teniamo sempre presente la carne di Cristo presente nei poveri,
nei sofferenti, nei bambini, anche indesiderati, nelle persone con handicap fisici
o psichici, negli anziani”.