Le testimonianze dei familiari delle vittime della mafia e il commento di Gian Carlo
Caselli
Tanti i familiari delle vittime presenti alla veglia di preghiera per le vittime innocenti
delle mafie, organizzata dall’associazione Libera di don Ciotti. Tra di loro, Flora
Agostino sorella di Antonino, un carabiniere morto in un attentato mafioso il 5 agosto
del 1989 a Villagrazia di Carini in Sicilia, con la moglie appena diciannovenne in
attesa del loro primo figlio; Giovanni Gabriele, padre di Domenico morto a Crotone
a soli 11 anni nel settembre del 2009 dopo tre mesi di coma, vittima innocente di
un agguato tra cosche che lo coinvolse mentre giocava con altri ragazzi a calcetto
e Massimiliano Noviello figlio di Domenico, ucciso il 16 maggio 2008 nel casertano
per aver denunciato tentativi di estorsione da parte del clan camorristico dei Casalesi.
Ascoltiamo le loro testimonianze raccolte da Marina Tomarro.
R. - (Flora
Agostino) È da 24 anni che non sappiamo chi sia stato; né i mandanti, né gli esecutori.
Ci sono i miei genitori. Anche io con i miei figli giro tutta Italia per chiedere
verità e giustizia per questo caso ancora irrisolto. Non abbiamo scoperto nulla. Hanno
legato il caso di mio fratello al fallito attentato all’Addaura.
D. - Cosa
vuol dire per voi questo incontro con Papa Francesco?
R. - Quando lo abbiamo
saputo, abbiamo pianto, perché è stata un’emozione grandissima. Il Santo Padre è uno
di noi! Siamo qui in 900 … 900 familiari che chiedono a gran voce verità e giustizia
per dire “Non siamo soli!”.
R. - (Giovanni Gabriele) Incontrare il Papa
da vicino, che ci sostiene, è una cosa meravigliosa! Si leggono i nomi di tutte le
vittime innocenti delle mafie e, nonostante la tragedia, oggi teniamo viva la memoria
di nostro figlio Domenico e quella di tutte le vittime di mafia.
D. - Qual
è un ricordo di suo figlio che lei conserva sempre?
R. - Totò è morto. Ma la
morte però non ci ha diviso. Come io vivevo in lui, adesso lui vive in me.
R.
- (Massimiliano Noviello) È stato un bellissimo gesto: la Chiesa che apre le
porte ai familiari. Il Papa che si esprime in maniera così forte nei confronti della
criminalità.
D. - Qual è il modo per battere questa criminalità, perché quello
che è successo a suo padre non succeda più?
R. - Io ritengo che non ci debbano
essere più eroi. Io sono orgoglioso del mio papà. Però, finché le persone verranno
additate come degli eroi, non facciamo altro che demandare a loro il sacrificio o
la problematica. Io ritengo che dobbiamo essere tutti partecipi nel quotidiano. È
molto importante fare testimonianza nelle scuole. Stando da soli non si va da nessuna
parte. È l’unione che fa la forza.
Tra i presenti al momento di preghiera,
anche l’ex procuratore capo di Torino Giancarlo Caselli. Ascoltiamo il suo
commento raccolto da Marina Tomarro:
R. – Le parole
che una dei familiari mi ha detto, piangendo: “Sono 20 anni che aspettiamo una manifestazione
di affetto, di solidarietà, di vicinanza come questa”. 20 anni sono lunghi, ma oggi
è arrivata. I familiari non possono che essere, nella loro tristezza, nel loro dolore,
nel rivivere le loro tragedie, oggi felici, oggi orgogliosi perché un grande, grandissimo
uomo ha detto loro che vuole loro bene. Non ha usato proprio queste parole, ma si
capiva chiaramente. E questo sicuramente ai familiari delle vittime ha fatto un bene
dell’anima.
D. – Cosa, lo Stato dovrebbe fare di più per evitare che succedano
altre tragedie come queste?
R. – Il Papa ha indicato la via: i mafiosi sono
forti anche perché sono ancora capaci – come io dico – di “rastrellare” consenso sociale,
e uno dei modi con cui raccolgono, raccattano consenso sociale è anche quello di apparire
animati da una certa qual religiosità. Hanno un santino in tasca, nel portafogli,
sul santino – bruciandolo – giurano fedeltà all’organizzazione criminale, partecipano
alle processioni, fanno parte di questa o quell’altra confraternita, sono generosi
quando si tratta di fare offerte alla chiesa … e però, questa loro religiosità, sacralità
è atea: non credono in ciò che esibiscono, ostentano per raccogliere consenso sociale.
Vivono di prepotenza, sopraffazione, prevaricazione, violenza anche estrema, fino
alle stragi, fino all’omicidio. Non hanno niente a che fare con i valori della Chiesa,
con l’insegnamento della Chiesa. Il Papa ha detto: “Pentitevi, cambiate o andrete
all’inferno!”. Sono cose apparentemente semplici, ma proprio nella loro semplicità
di una forza … Cosa si può dire di più? Cambiate, smettetela, altrimenti è l’inferno
che vi aspetta! E allora, ecco, la strada che indica Papa Francesco è: non diamo loro
corda, non siamo indulgenti o anche soltanto indifferenti. Chiamiamo le cose con il
loro nome. E questo vale non soltanto per la Chiesa: vale anche per lo Stato, vale
anche per i politici. Bisogna incominciare dal bonificare se stessi per quanto riguarda
rapporti con il malaffare, mafia compresa, che ancora caratterizzano una parte della
nostra politica.
D. – Quanto è importante l’educazione delle giovani generazioni
a stare lontani dalle facili ricchezze che spesso queste mafie promettono?
R.
– Ragionare con i giovani sulla convenienza, sul vantaggio della legalità può essere
decisivo per convincerli a resistere. Sono sirene persuasive, a volte, perché viviamo
ancora una crisi economica furibonda; ma chi subisce il fascino perverso dell’illegalità
e accetta questa o quell’altra offerta, perché ritiene di poter risolvere così qualche
suo problema, imbocca una strada al fondo della quale c’è la morte o la galera. E
con l’illegalità che prevale sulle regole, andiamo a sbattere tutti, ma proprio tutti
noi!