Giovanni Paolo II e la famiglia, convegno a Roma. Il card. Caffarra: il Sacramento
del matrimonio redime
“Giovanni Paolo II: il Papa della famiglia”: è questo il tema del Convegno internazionale
promosso dal Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per gli studi sul matrimonio e
sulla famiglia, che si è tenuto oggi e continuerà per tutta la giornata di domani.
Tra i relatori il cardinaleCarlo Caffarra, arcivescovo di Bologna e
primo preside dell’Istituto, che ha spiegato il rilievo della figura del Pontefice,
prossimo Santo, nell’ambito della pastorale familiare al microfono di Maura Pellegrini
Rhao:
R. – Per il
suo grande Magistero, che ha lasciato in eredità alla Chiesa: 134 catechesi sull’amore
umano. Nessun Papa, mai, ne aveva parlato così tanto, senza poi dimenticare la “Familiaris
Consortio” e altri momenti: questo continuo incontro tra la Parola di Dio, che il
Papa deve testimoniare, e il cuore dell’uomo e della donna. E da questo confronto
continuo, il cuore che interroga, la Parola che risponde e nello stesso tempo suscita
ancora un più profondo desiderio, in questo incontro continuo - direi - ha generato
il suo Magistero.
D. – Per quanto riguarda l’affermazione di Giovanni Paolo
II sul matrimonio come "Sacramento di redenzione", cosa possiamo sottolineare?
R.
– Giovanni Paolo II voleva dire fondamentalmente che il matrimonio redime l’amore
fra l’uomo e la donna da due punti di vista: primo, perché impedisce che esso si riduca
ad una sola dimensione, con il rischio che si consideri la sposa o lo sposo come un
oggetto di cui fare uso; secondo, è la redenzione, perché l’amore umano porta dentro
di sé un desiderio di definitività, di eternità; ci fa sentire il respiro dell’eternità,
ma nello stesso tempo non si è capaci di dare una risposta a questo desiderio. Allora,
il Sacramento del Matrimonio redime, perché rende l’uomo e la donna capaci di amarsi
definitivamente. La riflessione cristiana ha disegnato un’area semantica dietro la
parola “amore”, che è molto ricca: amore vuol dire “eros”, l’erotismo: amore vuol
dire “filia”, amicizia, l’amicizia coniugale; e amore vuol dire “agape”, cioè dono
gratuito, totale, definitivo di se stesso. Ora, se non si salvaguardano tutte e tre
queste dimensioni, l’amore coniugale è sostanzialmente impoverito.
D. – Quanto
è importante oggi ricordarsi, dal momento in cui si è sposi, di essere un’identità
altra?
R. – Molto importante. Il bene della comunione coniugale non è la somma
di due beni individuali, è un bene che ha in sé e per sé una sua bellezza, consistenza,
preziosità, nel quale bene, poi, anche il bene dei due sposi raggiunge una sua pienezza.