Egitto, crescono le tensioni in attesa della data delle presidenziali
L’Egitto, un Paese ancora lontano dall’intraprendere un processo stabile di pacificazione.
La cronaca giornaliera parla di continue violenze e vittime, mentre prosegue la protesta
antigovernativa del fronte islamico pro Morsi, il presidente deposto, nonostante la
messa al bando dei Fratelli Musulmani. In questo difficile clima il Paese si appresta
a scegliere il prossimo capo dello Stato. Sulla situazione egiziana, Giancarlo
La Vella ha intervistato Maria Grazia Enardu, docente di Storia delle Relazioni
Internazionali all’Università di Firenze:
R. - Si sta
avvicinando - con il partito dei Fratelli musulmani ormai dichiarato fuorilegge da
tempo - il momento delle elezioni presidenziali, dove il candidato forte sarà il capo
dell’esercito e ministro della Difesa al-Sisi. Tra una settimana, dieci giorni massimo,
ci dovrebbe essere la decisione sulla data delle elezioni. Quindi tutti gli schieramenti
sono in fermento, anche perché i Fratelli Musulmani, essendo illegali, partono in
condizioni di inferiorità. Il punto centrale, che sta suscitando infinite discussioni,
riguarda la legge elettorale, la quale prevede che non ci possa essere appello alle
decisioni prese dalla commissione elettorale.
D. - E questa cosa potrebbe aggravare
la protesta?
R. – Sì, anche perché il problema degli avversari di al-Sisi è
questo: se non riescono a fare una coalizione e non scelgono un unico candidato in
qualche modo forte, non hanno alcuna chance. In questo momento non ci sono nomi forti
alternativi a quello di al-Sisi, il quale potrebbe vincere anche per mancanza di veri
concorrenti.
D. - Quali sono le altre problematiche che l’Egitto oggi deve
affrontare?
R. - Esiste soprattutto un problema di economia allo sfascio: l’Egitto
in questo momento sopravvive di aiuti provenienti soprattutto dall’Arabia Saudita,
suo grande rivale e, in questo momento, suo soccorritore. Quindi, se l’economia non
si riprende, tutte le tensioni non possono che aggravarsi.
D. – In che modo
la comunità internazionale, preoccupata ora soprattutto per le vicende dell’Ucraina
e della Siria, sta guardando all’Egitto?
R. - In verità l’Egitto è un Paese
che ha una forte dinamica interna e in questo momento di difficoltà non svolge un
grande ruolo internazionale: l’Egitto non interferisce in alcun modo nelle altre vicende
del Medio Oriente; semmai è esso stesso oggetto di una certa indifferenza. Quando
l’Egitto tornerà ad essere un grande Paese, allora inevitabilmente cercherà di nuovo
il ruolo di leadership, un ruolo che rimpiange dai tempi di Nasser.