Crimea. Obama: pronti a nuove sanzioni contro la Russia
Dopo il referendum di ieri che a larghissima maggioranza ha detto “sì” all’annessione
della Crimea alla Russia, proseguono le reazioni della comunità internazionale. Il
presidente americano Barack Obama ha annunciato che gli Usa sono pronti ad adottare
nuove e piu' dure sanzioni contro Mosca se proseguirà nel suo piano di annessione
della Crimea. Resta, però, ancora aperta - afferma Obama - la strada per una soluzione
diplomatica. Il servizio di Debora Donnini:
Dopo il sì all’annessione
della Crimea alla Russia, arrivano le sanzioni di Unione europea e Stati Uniti per
una consultazione giudicata illegittima. Il presidente americano Barack Obama ha stabilito
per decreto sanzioni economiche e congelamento dei beni ai danni di 11 alti funzionari.
Tra loro ci sono l’ex presidente ucraino Yanukovich, il vice primo ministro russo
Rogozin e l’attuale «premier» della Crimea Aksyonov. In conferenza stampa, poi, Obama
ha annunciato che gli Usa sono pronti ad adottarne di più dure se Mosca proseguirà
nel suo piano di annettersi la Crimea e se Mosca continuerà ad “inteferire” in Ucraina.
Per Obama, però, esiste ancora un percorso diplomatico valido per risolvere la crisi.
Sul terreno, intanto, il Parlamento della Crimea stamani si e' dichiarato ufficialmente
indipendente dall'Ucraina e ha chiesto l'annessione della penisola alla Russia. E'
stato anche deciso il passaggio al fuso orario di Mosca, la nazionalizzazione di tutte
le proprietà ucraine e l'adozione del rublo come seconda moneta ufficiale accanto
alla 'grivnia' ucraina, che non circolera' piu' dal gennaio 2016. Il Parlamento
di Sinferopoli ha inoltre annunciato che le autorita' ucraine non hanno piu' potere
sulla penisola e che le unità militari ucraine sul territorio saranno sciolte. Nazionalizzate,
poi, le due aziende energetiche della penisola. Immediata la reazione di Kiev: il
Parlamento ucraino ha ratificato la mobilitazione di 40mila riservisti decisa dal
presidente 'ad interim'. E Ue e Ucraina firmeranno venerdì l’accordo politico di associazione.
Del braccio di ferro tra Sebastopoli e Kiev e del ruolo della comunità internazionale
Fausta Speranza ha parlato con Germano Dottori, docente di Studi strategici
all'Università Luiss:
R. - E’ una
questione molto sensibile sia per l’opinione pubblica russa che per l’opinione pubblica
ucraina, ma occorre anche tener presente il fatto che comunque questa crisi non si
sviluppa nel vuoto pneumatico: c’è la Comunità internazionale ed esistono anche possibilità
che qualche mediazione - per congelare la situazione e piano piano farla rientrare
entro margini più accettabili - esista ancora.
D. - La prima richiesta, in
queste ore, da parte di Stati Uniti e Unione Europea è quella di accettare in Crimea
osservatori internazionali…
R. - Sì, è comprensibile. Anche perché ovviamente
si vuol fugare il timore che le persone ostili all’ingresso della Crimea nella Federazione
Russa subiscano delle discriminazioni o vengano fatte oggetto in qualche misura di
ritorsioni. Mi sembra abbastanza normale e sarebbe anche interesse - a mio avviso
- delle autorità locali permetterlo. D’altra parte, però, gli animi sono ancora abbastanza
surriscaldati, come prova la circostanza riferita poco fa da una giornalista italiana
sul posto che anche andare ad assistere alle manifestazioni di giubilo ha creato dei
problemi con le sicurezze locali: malgrado - diciamo - ci fosse il loro interesse
anche, teoricamente, a mostrare al mondo che genere di consenso e di supporto popolare
ha questo passo che è stato fatto in Crimea ieri.
D. - La Comunità internazionale
ha ribadito che questo referendum è illegittimo e illegale, fondamentalmente perché
viene dopo l’intervento delle truppe russe in Crimea: è così?
R. - I problemi
sono molteplici. Io credo che, al di là di tutto, siccome la Comunità internazionale
è composta da Stati sovrani e molti Stati sovrani sono alle prese con una crisi di
coesione territoriale che li attraversa al proprio interno ed è una cosa molto forte
anche all’interno dell’Unione Europea - avvertita, per esempio, dal Belgio e in una
certa misura anche dalla Gran Bretagna; non parliamo poi della Spagna - c’è comunque
un interesse a far sì che il precedente non si generalizzi. L’intenzione è di circoscriverlo
al massimo! Il secondo elemento è che qui non si parla soltanto di una secessione
e quindi di una proclamazione dell’indipendenza, ma si parla di una proclamazione
dell’indipendenza che è funzionale al passaggio di un territorio da uno Stato sovrano
ad un altro Stato sovrano. Io immagino che proprio per questo la Russia avrà tutto
l’interesse a separare i due passaggi, in modo tale che risulti chiaro che la Russia
non si annette un territorio appartenente ad un altro Stato, ma accetta la proposta
di unione che viene da un altro Stato sovrano nei suoi confronti. Alla fine è la politica
che incide in questo caso e che determina un po’ anche la forzatura delle forme giuridiche.
D. - Professore, permettiamoci una banalizzazione giornalistica: sta vincendo
Putin perché si è preso appieno la Crimea o sta vincendo l’Occidente perché il resto
dell’Ucraina sarà più libera e più distante dall’influenza di Mosca?
R. - Direi
la seconda, nel senso che Putin recupera la Crimea, ma, sino a questo momento, perde
l’Ucraina, che era un elemento essenziale del suo progetto di unione euroasiatica.
Peraltro la perdita dell’Ucraina è qualche cosa che non è maturata ieri e neanche
nell’ultimo mese: è qualcosa che ha preso forma già nel 2013.