I vescovi di Timor Est oggi incontrano il Papa. Mons. Do Nascimento: siamo un Paese
di periferia
Un Paese a larghissima maggioranza cattolico – una rarità per l’Asia – che per la
prima volta vede i suoi vescovi raggiungere il Vaticano e incontrare oggi il Papa
per la visita ad Limina. Si tratta di Timor Est, piccola isola del Sudest asiatico,
fino al 1975 colonia portoghese, che nel 1999 si distaccò dall’Indonesia diventando
nel 2002 uno Stato indipendente. Una autonomia conquistata a prezzo del sangue, che
vide la Chiesa timorese in prima linea nel ristabilimento della pace. Mons. Basilio
Do Nascimento, vescovo di Baucau e presidente dei vescovi di Timor Est, ne parla
al microfono di Rafael Belincanta:
R. – Il ruolo
della Chiesa continua a essere importante: esso è ancora riconosciuto sia dai governanti
che dal popolo. Penso che oggi la Chiesa debba sapersi collocare in questa nuova realtà.
Io dico sempre che, subito dopo l'invasione indonesiana, la Chiesa ha svolto il ruolo
di protettrice, denunciando la violazione dei diritti umani dei timoresi. C’è stata
poi una fase in cui la Chiesa si è impegnata per la riconciliazione con i fratelli
indonesiani e oggi sta cercando di svolgere un ruolo di educatrice, non semplicemente
nel senso di insegnare a leggere e scrivere, ma di insegnare ai timoresi a vivere
in questa nuova situazione. La democrazia , per esempio, è una cosa nuova per Timor
Est: siamo passati da un sistema tradizionale a un sistema moderno che la popolazione
deve imparare a conoscere e credo che il ruolo della Chiesa oggi sia di educarla alla
democrazia.
D – Cosa direte a Papa Francesco che incontrate per la prima volta?
R. – Per prima cosa, descriveremo quello che Timor Est è con due semplici
parole care a Papa Francesco: è un Paese della “periferia”, sia nel senso di periferia
rispetto ai centri dello sviluppo nel mondo, sia in senso geografico, che siamo cioè
alla "fine del mondo". Credo che questa espressione calzi bene per Timor Est. Ma –
nonostante le sue piccole dimensioni e un’indipendenza limitata – è un Paese con una
tradizione cattolica lunga 500 anni. Quindi, al Papa presenteremo l’invito a venire
a festeggiare con noi, nel 2015, i 500 anni dell’evangelizzazione di Timor. A Papa
Francesco illustreremo anche la vita della nostra Chiesa, le nostre difficoltà, i
nostri bisogni e soprattutto la realtà in cui viviamo oggi.
D – Come è stata
accolta l'elezione di Papa Francisco a Timor Est e come giudicano i fedeli timoresi
il Papa in questo primo anno di Pontificato?
R. – Il nome del Santo Padre era
sconosciuto. Quindi, è stata una vera sorpresa, tanto più se si considera che i media
avevano fatto ipotesi su nomi più noti. Ma dal primo momento Papa Francesco ha colpito
e conquistato il popolo timorese. Questo è un Paese in netta maggioranza cattolico
- il 97% della popolazione è battezzato – e il Santo Padre ha suscitato grande simpatia
tra i cristiani per il suo modo di essere, per la sua semplicità e il suo linguaggio
molto concreto. L’impressione è che quando parla il Papa tocchi la realtà delle persone,
la realtà della vita quotidiana.
D. – Il prossimo Sinodo sarà dedicato alla
famiglia. Qual è la realtà della famiglia a Timor Est?
R. – La famiglia a Timor
Est ha ancora un grande valore qui e ha un peso importante. Ma adesso il modello tradizionale
della famiglia timorese, quello patriarcale con molti figli, deve confrontarsi con
nuovi modelli e idee come la parità dei sessi e la limitazione delle nascite, che
crea una certa confusione tra la nostra gente, educata in passato ai valori portati
dal Portogallo.
D. – Qual è la sfida più grande per le tre diocesi di Timor
Est?
R. – Il problema di fondo è la formazione. Quando dicevo che il 97% della
popolazione è cattolica, mi riferivo al numero dei battezzati. Ma l’educazione alla
fede è molto carente. E questo è anche il risultato della guerra, durante la quale
molte persone lì per lì sono state battezzate nella Chiesa, che poi però non ha avuto
il tempo e le risorse per formare i fedeli nella fede. La nostra sfida è questa. Ci
mancano poi le strutture, tanto che oggi anche il livello di formazione del clero
e degli operatori pastorali è abbastanza scarso. Per questo abbiamo bisogno dell’aiuto
di altre Chiese. Finora, abbiamo chiesto aiuto alla Chiesa portoghese e quest'anno
anche la Chiesa brasiliana ci ha dato una mano. La Conferenza episcopale brasiliana
(Cnbb) ci ha inviato professori per formare gli insegnanti in seminario. Insomma la
nostra più grande preoccupazione oggi è la formazione a tutti i livelli.