2014-03-16 14:29:45

Crimea oggi al voto: la comunità internazionale non riconosce il referendum


Urne aperte in Crimea per il referendum sull'adesione alla Russia eche sancisce la secessione dall'Ucraina. Si vote fino alle 21 italiane e i risultati sono attesi già questa sera. Una consultazione contestata da Kiev e dalla comunità internazionale e che si svolge in un escalation militare della crisi, che vede l’aumento delle truppe di russe in Crimea, con presunto sconfinamento una località di confine ucraina. Il punto nel servizio di Marco Guerra:RealAudioMP3

“Siete a favore della riunificazione della Crimea con la Russia ?” o “Siete a favore dello status della Crimea come parte dell'Ucraina?”. Queste le domande sulla scheda di un referendum dall’esito scontato che si svolge in una regione di due milioni di persone, il 60% delle quali appartenenti alla comunità russofona. Si prevede, inoltre, una bassa affluenza al voto della minoranza ucraina e anche di quella di etnia tatara. E ad urne aperte, il parlamento filo russo della Crimea accelera sul processo di avvicinamento a Mosca, annunciando che già domani mattina approverà l’esito del voto odierno. Intanto da Kiev il ministro della Difesa ucraino parla di un aumento a 22mila unità delle truppe Russe presenti in Crimea, denunciando il superamento del limite di 12mila soldati fissato dagli accordi sulle basi di Mosca sul Mar Nero. Se confermata, sarebbe un’ennesima provocazione dopo lo sconfinamento di alcuni parà russi in territorio ucraino, avvenuto ieri al confine settentrionale della Crimea. Intanto, tutti i Paesi occidentali continuano a non riconoscere il referendum. Ieri, solo per il veto di Mosca, al consiglio di sicurezza dell’Onu non è passata una risoluzione contro la legittimità del quesito referendario, ma sale l’attesa per la riunione di domani dei ministri degli Esteri Ue per decidere eventuali sanzioni alla Russia.

Per un’analisi dell’evoluzione della crisi e dei possibili risvolti del referendum, abbiamo raccolto il commento di Luigi Geninazzi, inviato di Avvenire esperto dell’area:RealAudioMP3

R. - È un referendum farsa dall’esito scontato. La vera svolta, anche traumatica, è già avvenuta con l’occupazione militare della Crimea, come ha ammesso un alto funzionario della Duma - il Parlamento di Mosca - ovvero, che questi sono militari russi. Si sospettava infatti che venissero da Mosca ed ora ne abbiamo la conferma. L’altra svolta è stata la proclamazione d’indipendenza dell’autoproclamato Parlamento della Crimea e l’adozione del rublo. Il referendum insomma non porta niente di nuovo: non c’è un significativo numero di osservatori internazionali, i delegati dell’Osce non sono riusciti ad entrare e tutto è stato fatto in fretta. Non è oggi la data importante; certo, è una conferma e se non ci fosse stata sarebbe stato un segnale importante. Di fatto, quello che è avvenuto è che ormai l’Ucraina ha perso la Crimea e bisognerà vedere cosa succederà adesso, perché quello che sta succedendo nelle regioni ad Est, filo russe, è veramente inquietante.

D. - Ad urne chiuse cosa bisogna attenderci da Kiev, da Mosca ed anche dal resto dello schieramento internazionale?

R. - Due cose: un giudizio netto su quanto è avvenuto che riguarda la Crimea; che non è che si tratta di secessione - chiariamolo - perché non è un’indipendenza della Crimea ma un’adesione della Crimea alla grande madre Russia. La seconda è quella di vedere se Putin si accontenta di questo - non tanto di un pezzo di terra, quanto di un gesto per far capire al mondo che lui fa quello che vuole, quando gli sembra che i suoi interessi vengano minacciati - o se invece andrà avanti in questa strategia di logoramento di una nazione in difficoltà dopo la rivoluzione di Maidan, perché è l’economia che va a picco. Quindi, la vera incognita è se fomenterà ribellioni, scontri nell’Ucraina dell’Est e su questo l’Occidente mi sembra che abbia un po’ le “armi spuntate”: certamente non potrà - e mi auguro che non lo faccia - pensare ad una risposta militare, questo è escluso, ma deve trovare altre opzioni. È molto difficile, in particolare per l’Occidente e per i Paesi europei, adottare una strategia dura a livello di sanzioni economiche perché sarebbe l’Europa stessa ad essere la prima ad avere contraccolpi tremendi per quanto riguarda i rifornimenti energetici. Quindi, è chiaro che l’Europa ha le mani legate; si tratta di riavviare un processo di responsabilità da tutte le parti. La richiesta centrale - quella che potrebbe far tornare indietro questa escalation - è che Mosca riconosca e apra un dialogo diretto con Kiev. E la cosa più terribile, più grave è proprio che Mosca non riconosca il governo di Kiev. Solo quando il premier Arseny Iatseniuk, o il governo che uscirà dalle elezioni del 25 maggio dialogheranno con Mosca allora potremmo pensare ad una svolta positiva, altrimenti ogni giorno assisteremo ad un passo in dietro.

D. - Continueremo quindi a vedere questa contrapposizione tra filo russi e sostenitori dell’unità ucraina?

R. - E’ un Paese “ponte”, o almeno dovrebbe esserlo. Non può esserci un’Ucraina anti russa ma nemmeno un’Ucraina anti europea: la gente sta insieme anche se parla russo piuttosto che ucraino, che sia di Leopoli, o che sia di Donetsk. Se invece dall’esterno si minaccia, anzi si soffia sul fuoco delle contrapposizione è un Paese che va alla deriva, è un Paese che si spacca e tutto questo non solo rappresenta la più grave crisi tra Est ed Ovest dalla fine della guerra Fredda, ma rappresenta veramente una situazione "jugoslava moltiplicata" perché l’Ucraina è un pezzo strategico nell’Europa e fa parte dell’Europa, così come deve essere amica della Russia.







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