Crimea oggi al voto: la comunità internazionale non riconosce il referendum
Urne aperte in Crimea per il referendum sull'adesione alla Russia eche sancisce la
secessione dall'Ucraina. Si vote fino alle 21 italiane e i risultati sono attesi già
questa sera. Una consultazione contestata da Kiev e dalla comunità internazionale
e che si svolge in un escalation militare della crisi, che vede l’aumento delle truppe
di russe in Crimea, con presunto sconfinamento una località di confine ucraina. Il
punto nel servizio di Marco Guerra:
“Siete a favore
della riunificazione della Crimea con la Russia ?” o “Siete a favore dello status
della Crimea come parte dell'Ucraina?”. Queste le domande sulla scheda di un referendum
dall’esito scontato che si svolge in una regione di due milioni di persone, il 60%
delle quali appartenenti alla comunità russofona. Si prevede, inoltre, una bassa affluenza
al voto della minoranza ucraina e anche di quella di etnia tatara. E ad urne aperte,
il parlamento filo russo della Crimea accelera sul processo di avvicinamento a Mosca,
annunciando che già domani mattina approverà l’esito del voto odierno. Intanto da
Kiev il ministro della Difesa ucraino parla di un aumento a 22mila unità delle truppe
Russe presenti in Crimea, denunciando il superamento del limite di 12mila soldati
fissato dagli accordi sulle basi di Mosca sul Mar Nero. Se confermata, sarebbe un’ennesima
provocazione dopo lo sconfinamento di alcuni parà russi in territorio ucraino, avvenuto
ieri al confine settentrionale della Crimea. Intanto, tutti i Paesi occidentali continuano
a non riconoscere il referendum. Ieri, solo per il veto di Mosca, al consiglio di
sicurezza dell’Onu non è passata una risoluzione contro la legittimità del quesito
referendario, ma sale l’attesa per la riunione di domani dei ministri degli Esteri
Ue per decidere eventuali sanzioni alla Russia.
Per un’analisi dell’evoluzione
della crisi e dei possibili risvolti del referendum, abbiamo raccolto il commento
di Luigi Geninazzi, inviato di Avvenire esperto dell’area:
R. - È un referendum
farsa dall’esito scontato. La vera svolta, anche traumatica, è già avvenuta con l’occupazione
militare della Crimea, come ha ammesso un alto funzionario della Duma - il Parlamento
di Mosca - ovvero, che questi sono militari russi. Si sospettava infatti che venissero
da Mosca ed ora ne abbiamo la conferma. L’altra svolta è stata la proclamazione d’indipendenza
dell’autoproclamato Parlamento della Crimea e l’adozione del rublo. Il referendum
insomma non porta niente di nuovo: non c’è un significativo numero di osservatori
internazionali, i delegati dell’Osce non sono riusciti ad entrare e tutto è stato
fatto in fretta. Non è oggi la data importante; certo, è una conferma e se non ci
fosse stata sarebbe stato un segnale importante. Di fatto, quello che è avvenuto è
che ormai l’Ucraina ha perso la Crimea e bisognerà vedere cosa succederà adesso, perché
quello che sta succedendo nelle regioni ad Est, filo russe, è veramente inquietante.
D. - Ad urne chiuse cosa bisogna attenderci da Kiev, da Mosca ed anche dal
resto dello schieramento internazionale?
R. - Due cose: un giudizio netto su
quanto è avvenuto che riguarda la Crimea; che non è che si tratta di secessione -
chiariamolo - perché non è un’indipendenza della Crimea ma un’adesione della Crimea
alla grande madre Russia. La seconda è quella di vedere se Putin si accontenta di
questo - non tanto di un pezzo di terra, quanto di un gesto per far capire al mondo
che lui fa quello che vuole, quando gli sembra che i suoi interessi vengano minacciati
- o se invece andrà avanti in questa strategia di logoramento di una nazione in difficoltà
dopo la rivoluzione di Maidan, perché è l’economia che va a picco. Quindi, la vera
incognita è se fomenterà ribellioni, scontri nell’Ucraina dell’Est e su questo l’Occidente
mi sembra che abbia un po’ le “armi spuntate”: certamente non potrà - e mi auguro
che non lo faccia - pensare ad una risposta militare, questo è escluso, ma deve trovare
altre opzioni. È molto difficile, in particolare per l’Occidente e per i Paesi europei,
adottare una strategia dura a livello di sanzioni economiche perché sarebbe l’Europa
stessa ad essere la prima ad avere contraccolpi tremendi per quanto riguarda i rifornimenti
energetici. Quindi, è chiaro che l’Europa ha le mani legate; si tratta di riavviare
un processo di responsabilità da tutte le parti. La richiesta centrale - quella che
potrebbe far tornare indietro questa escalation - è che Mosca riconosca e apra un
dialogo diretto con Kiev. E la cosa più terribile, più grave è proprio che Mosca non
riconosca il governo di Kiev. Solo quando il premier Arseny Iatseniuk, o il governo
che uscirà dalle elezioni del 25 maggio dialogheranno con Mosca allora potremmo pensare
ad una svolta positiva, altrimenti ogni giorno assisteremo ad un passo in dietro.
D. - Continueremo quindi a vedere questa contrapposizione tra filo russi e
sostenitori dell’unità ucraina?
R. - E’ un Paese “ponte”, o almeno dovrebbe
esserlo. Non può esserci un’Ucraina anti russa ma nemmeno un’Ucraina anti europea:
la gente sta insieme anche se parla russo piuttosto che ucraino, che sia di Leopoli,
o che sia di Donetsk. Se invece dall’esterno si minaccia, anzi si soffia sul fuoco
delle contrapposizione è un Paese che va alla deriva, è un Paese che si spacca e tutto
questo non solo rappresenta la più grave crisi tra Est ed Ovest dalla fine della guerra
Fredda, ma rappresenta veramente una situazione "jugoslava moltiplicata" perché l’Ucraina
è un pezzo strategico nell’Europa e fa parte dell’Europa, così come deve essere amica
della Russia.