Tre anni fa l'inizio della guerra in Siria. Mons Zenari: "Non perdere le speranze
di pace"
Tre anni fa iniziava la tragedia siriana. La protesta di piazza contro il presidente
Assad e il suo governo si è presto trasformata in una vera e propria guerra con drammatici
risvolti umanitari. Una catastrofe alla quale, dopo tre anni, la comunità internazionale
non riesce ancora a porre fine. Il servizio di Marina Calculli:
Era il 15 marzo
2011 quando a Dara’a, i siriani cominciavano a protestare. Allora si poteva chiamare
ancora “thawra”, ovvero la “rivoluzione” di una parte dei cittadini siriani contro
i soprusi del regime di Bashar al-Asad e delle sue mukhabarat, i servizi d’intelligence.
Una rivoluzione troppo presto trasformata in conflitto civile, regionale e internazionale.
Due dimensioni degli interessi geopolitici che hanno di fatto fagocitato la lotta
dei siriani per la libertà, trasformandola in una guerra per il controllo della Siria.
146 mila morti e 9 milioni di sfollati. Tra di essi oltre due milioni e mezzo fuori
dal paese. L’opposizione militare e politica al regime di Asad e al suo esercito resta
troppo debole e competitiva con le varie milizie islamiste che in Siria controllano
interi villaggi del nord del paese: anche per questo il potere di Asad persiste dopo
tre anni. Il raìs, anzi, è in piena campagna elettorale per le prossime elezioni presidenziali.
A Homs, la cosiddetta “capitale della rivoluzione”, sullo sfondo di devastazioni profondissime
si stagliano cartelloni con la faccia sorridente di Bashar. E ieri sera l’esercito
del regime è entrato a Yabrud, alle porte di Damasco, per contrastare l’avanzata degli
insorti verso la capitale, l’ultimo vero bastione del potere politico di Asad.
Ma
come appare la Siria dopo tre anni di distruzione e di dolore? Gabriella Ceraso
lo ha chiesto al nunzio apostolico a Damasco, mons. Mario Zenari:
R. – Proprio
in questi giorni, fuori Damasco vedevo la primavera che sta arrivando con irruenza,
i mandorli in fiore, e pensavo: quand’è che si vedrà la cosiddetta Primavera araba,
una Siria rinnovata, che è poi nell’intenzione e nel desiderio di tutti? Purtroppo,
qui da tre anni la gente invece si trova con un gelo, con queste statistiche terribili.
Però, di fronte a questo quadro, credo che non dobbiamo perdere la fiducia, la speranza,
quello che continuamente insomma ci dice il Santo Padre e che recentemente anche i
vescovi cattolici di Siria, riuniti in Assemblea plenaria, hanno richiamato, incoraggiando
i fedeli a mantenere la fiducia, a fare leva sulla forza della preghiera e a dare
la testimonianza della solidarietà in questo momento così difficile.
D. – Tutte
le grandi organizzazioni che sono attive in Siria, oltre a dare dati, in queste ore
lanciano appelli, chiedono azioni urgenti, chiedono di mettere in campo tutte le azioni
possibili. Se lei dovesse fare un appello alla diplomazia internazionale che sembra
allo stallo dopo "Ginevra 2", cosa si sentirebbe di dire?
R. – Direi questo:
lavoriamo tutti quanti affinché si trovi il modo di sbloccare questa situazione. C’è
bisogno di avere coraggio per cercare possibilità sempre nuove per uscire da questo
tunnel.
D. – Che fine ha fatto quel pluralismo così ricco, così bello, il pluralismo
religioso e etnico della Siria?
R. – Io voglio sperare che non sia andato perduto.
Questa convivialità, in particolare tra musulmani e cristiani era esemplare: è stata
molto disturbata in questi ultimi due anni da questo estremismo. Ma, voglio sperare,
che possa essere restaurata.
D. – In particolare, i cristiani siriani hanno
risentito di questo clima cupo che si è creato in questi tre anni, facendo molto,
ma anche pagando un duro prezzo. Cosa dire loro?
R. – I cristiani hanno sofferto
come tutti i cittadini siriani. Sono stati sotto i bombardamenti, hanno dovuto spostarsi,
sono sfollati interni. L’ultimo di questi tre anni di conflitto è stato un po’ più
duro per loro in certe località. Quindi, farei leva ancora su questo messaggio di
speranza dei vescovi siriani che incoraggiano a cercare, nel limite del possibile,
di rimanere qui, nella loro terra. I cristiani rappresentano, per così dire, un’apertura,
una finestra sul mondo, con il loro sentimento così universale. Ho sentito anch’io
dei capi religiosi musulmani che si sono detti dispiaciuti di certi attacchi che certe
comunità cristiane hanno subito, che hanno rigettato certi comportamenti da parte
di estremisti. Inoltre, vogliono e desiderano che i cristiani rimangano.
D.
– Come vede oggi la Siria a tre anni dall’inizio della rivolta? Un Paese diviso e
in rovina, che lotta per la sopravvivenza?
R. – Ci sono delle immagini che
colpiscono, immagini e statistiche che veramente fanno male. Credo, naturalmente,
sia necessario vedere anche la reazione che c’è da parte di tanta gente che non accetta
questa situazione e che dice “Basta!” a questo clima di violenza. Spero che questa
maggioranza silenziosa, che per il momento non ha la possibilità di esprimersi a tutti
i livelli sociopolitici, possa emergere sempre di più.
Questi tre anni di guerra
hanno causato una emergenza umanitaria senza precedenti. Luca Collodi ne ha
parlato con Francesco Rocca, presidente della Croce Rossa Italiana:
“Una catastrofe
umanitaria inconcepibile”. Così oggi l’Onu definisce la situazione in Siria alla
vigilia del terzo anniversario dall’inizio del conflitto. Dato confermato dalla Federazione
Internazionale di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa che segnala oltre 9 milioni di siriani
con urgente bisogno di assistenza, compresi 6 milioni e mezzo di sfollati interni,
la meta' dei quali bambini. “Si assiste ad una escalation della brutalita' del conflitto
e nessuna delle parti rispetta la risoluzione dell'Onu che chiede di consentire l'accesso
degli aiuti ai civili”. Lo denuncia Francesco Rocca, presidente della Croce rossa
italiana raggiunto telefonicamente in Libano. L’intervista è di Luca Collodi:
R.
- C’è una finta normalità che regna a Damasco. Non si sente più il rumore di artiglieria
ma in realtà, come si esce dal centro città e si arriva nella periferia, le immagini
cambiano completamente: palazzi distrutti, abbandonati o occupati dai rifugiati. Gli
sfollati interni hanno raggiunto i sei milioni e vivono senza elettricità, né acqua
corrente. È la prima volta che ho provato su di me veramente il peso della vergogna,
dell’assenza della Comunità internazionale.
D. – Quali sono i bisogni reali
della popolazione?
R. – Stiamo raggiungendo mensilmente, in questo momento,
circa 600 mila famiglie, che equivale a circa tre milioni di persone ma i bisogni
sono pari al doppio. Cibo e medicine sono sicuramente la priorità assoluta. Poi per
i bambini aggiungerei la serenità: sono stati strappati dalle loro case in maniera
violenta e sono accompagnati quotidianamente dai rumori della guerra. Abbiamo la responsabilità,
anche per il futuro, di aiutare a ricostruire un clima sociale di convivenza; così
rischia di alimentarsi soltanto un clima di rabbia e di risentimento. Quello che noi
ci aspettiamo è un’implementazione, da entrambe le parti in conflitto, della possibilità
di accesso per gli aiuti umanitari. Vorrei ricordare che ci sono aree in cui ancora
oggi l’accesso non è consentito: abbiamo provato a visitare ed entrare a Yarmuk -
campo palestinese vicino Damasco - dove sono sotto assedio 20 mila persone, di cui
circa 5 mila sono bambini e dove sono, inoltre, morte 120 persone di fame. È una tragedia
nella tragedia che si sta consumando.
D. – Lei ha detto che sul piano umanitario
si registra un abbandono un disinteresse dei grandi Paesi occidentali. È così?
R.
– Sì, nel senso che la risposta che mi possono immaginare potrebbe arrivare ma come?
Abbiamo fatto conferenze, abbiamo cercato aiuti ma il problema è di accompagnare l’azione
umanitaria concretamente. Ci sono partner con cui noi entriamo in azione tutti i giorni
– parlo anche come Italia – su cui dobbiamo spendere una parola importante perché
la responsabilità non è soltanto dei siriani ma anche di chi è armato e di chi sostiene
tutto quello che sta avvenendo.
D. – Le zone cristiane hanno un minimo di normalità,
o sono sotto attacco anch’esse?
R. – In questo momento sono apparentemente
in quella tregua di cui parlavamo prima, ma a Maalula ed in altre zone l’accesso è
ancora difficile. È sempre una situazione in divenire, in cui non c’è mai certezza
degli aiuti. Quindi, è l’intera comunità – quella cristiana, quella sunnita e sciita
– ad essere interessata; non c’è una comunità in particolare che sta soffrendo di
più o di meno.
D. – Tra l’altro ci sono persone che sembrano essere ancora
in mano a sequestratori anche da un punto di vista religioso, di sacerdoti… Quindi,
una situazione caotica anche da questo punto di vista…
R. – Questo è quello
a cui mi riferivo prima. Sicuramente in questo conflitto c’è anche una esasperazione
del radicalismo religioso che non fa mai bene e porta a queste violenze assolutamente
ingiustificabili.