Referendum in Crimea. Un sacerdote: l'Ucraina non è spaccata, il popolo prega per
la pace
L’Ucraina accusa la Russia di aver invaso militarmente il proprio territorio nella
regione meridionale di Kherson e chiede il “ritiro immediato” delle forze russe. A
New York, intanto, non è stata approvata la risoluzione presentata al Consiglio di
Sicurezza dell’Onu contro il referendum previsto oggi in Crimea. Il servizio di Amedeo
Lomonaco:
“L’Ucraina –
afferma il ministero degli Esteri di Kiev - è sotto attacco” e “si riserva il diritto
di mettere in atto tutte le misure necessarie per fermare l’invasione militare russa”.
Gli Stati Uniti – avverte poi l’ambasciatore americano all'Onu Samantha Power - considereranno
qualsiasi nuovo movimento di truppe russe nel sud dell’Ucraina “un’oltraggiosa escalation”
della crisi in Crimea. “La Russia – aggiunge - dovrà rispondere delle sue azioni,
e potrebbe essere soggetta ad un isolamento diplomatico ed economico”. Intanto, a
New York, non è stata approvata la risoluzione dell’Onu contro il referendum di oggi
in Crimea. Determinante il veto posto dalla Russia. La Cina si è astenuta, mentre
gli altri 13 Paesi hanno votato a favore. I risultati preliminari della consultazione,
che per il presidente francese Francois Hollande non ha alcun valore legale, saranno
disponibili poco dopo la chiusura dei seggi, alle 19.00 italiane. E' stato liberato,
infine, il sacerdote della Chiesa cattolica greco-ucraina rapito ieri mattina da uomini
armati a Sebastopoli, in Crimea.
In Ucraina la gente è unita dalla preoccupazione
per il futuro. Lo testimonia don Oleksandr Khalayim, sacerdote della
città occidentale di Horodok, che da tempo collabora con 'Aiuto alla Chiesa che Soffre'
nel portare la propria testimonianza nelle parrocchie italiane. Giada Aquilino
lo ha intervistato:
R. – Possiamo
dire che il Paese è totalmente diverso da quello di tre mesi fa. Per la preoccupazione
si vede che il popolo, soprattutto i giovani, si sentono responsabili per tutto ciò
che sta succedendo in Ucraina. Davvero la paura del sangue ha unito un popolo: si
sta insieme. Non si parla adesso della differenza tra Chiese ortodosse, cattoliche,
protestanti, perché tutti pregano insieme per la pace, affinché la situazione cambi.
Anche a Maidan, la piazza centrale di Kiev, c’è grande rispetto per i sacerdoti: non
c’è differenza tra il sacerdote ortodosso e quello cattolico. A Maidan, c’è sempre
stata una tenda che fungeva da piccola cappella, dove si poteva pregare 24 ore su
24. Mi sembra che il popolo, di nuovo, stia cercando il senso di Dio. Per 70 anni
si è gridato che Dio non esisteva. Questa situazione dice invece che, prima di cambiare
la politica, l’economia, bisogna trovare Dio e bisogna cambiare dentro di noi.
D.
– Lei ci sta descrivendo un’Ucraina diversa da quella che appare dalle notizie che
arrivano, riguardo a un Paese spaccato...
R. - Sono stato due settimane fa
in diverse parti dell’Ucraina e non si vede tutta questa differenza: si vede l’unità
e come tutti siano preoccupati per il Paese. Sì, certo, esistono questi casi, unici,
dove invece la situazione non è così.
D. – Le organizzazioni internazionali
fanno sapere che non riconosceranno l’esito del referendum in Crimea. La Russia dice
invece che il diritto internazionale è rispettato. Ma che ore si stanno vivendo lì?
R.
– Ma come si può fare il referendum con le armi? L’esercito russo è dappertutto. Lì
ci sono, per esempio, i nostri sacerdoti cattolici, sono 8-9, a cui ora non si possono
portare medicine, non si può portare il necessario. Prima di entrare nella penisola
di Crimea ci sono i controlli, così come ci sono all’aeroporto.
D. – Cosa raccontano
i sacerdoti?
R. – Anche i sacerdoti dicono che adesso ci sono tante persone
che cercano Dio, tante persone che entrano nelle chiese, anche se non sono credenti:
accendono una candela e stanno cinque o sei minuti a pregare per chiedere la pace.
Il popolo della Crimea non vuole la guerra. In Crimea vivono non solo russi ed ucraini,
ma anche tanti tatari. E anche loro dicono: “Noi vogliamo solo la pace, perché questa
è la nostra terra”.
D. – I tatari rappresentano la comunità musulmana?
R.
– Sì, i tatari della comunità musulmana dicono: “Noi vogliamo rimanere in Ucraina,
in questa terra, com’era prima”.
D. – Anche a Kharkiv sta salendo la tensione.
Che rischi ci sono?
R. – La situazione è veramente molto difficile, perché
è come se si trattasse di due vicini che non riescono a trovarsi d’accordo. Basta
solo una piccola parola per fare esplodere quello che abbiamo visto per esempio l’altro
ieri a Donetsk, dove ora dicono sono morte tre persone, ma probabilmente sono di più.
D.
– Lei ha vissuto tutti i momenti della crisi, ha visto la gente morire...
R.
– Sì. Ho assistito all’arrivo di questo nuovo governo, dopo gli scontri e le proteste.
Non si vedeva, però, la gioia tra la gente. È come se in Paese ci fosse stato un funerale:
ho visto piangere tutti. In treno, per esempio, ho visto persone piangere, non parlare,
non scherzare. Sì, sembrava proprio il funerale di un grande Paese. Mi ha colpito
la storia di un giovane, morto vicino alla città di Horodok per salvare la sua fidanzata.
Quando hanno cominciato a sparare, infatti, lui con il suo corpo ha coperto la sua
ragazza ed è stato ucciso. E quando lo hanno portato a casa, tutta la città è venuta
a pregare per lui. Un altro episodio che mi ha toccato è quello di un padre che, al
funerale del suo unico figlio, ha detto: “Questo nostro figlio - di una ventina d’anni
- era la nostra speranza e tutto quello che facevamo era per lui, pensavamo che lui
ci avrebbe aiutato più in là”. Ma con questo grande dolore, ha aggiunto: “C’è anche
una grande speranza: che questa morte non sia vana e che porti il cambiamento al nostro
Paese”.
D. – Dai sacerdoti della Crimea a quelli che sono stati in piazza a
Maidan, a Kiev, a quelli che sono nel suo Paese, Horodok, e in tutta l’Ucraina quale
messaggio state diffondendo e quale messaggio ricevete dalla popolazione?
R.
– Le persone vengono per chiedere pace e per pregare. La speranza della Chiesa ucraina
è che per rialzarsi si ritrovino i valori religiosi, si trovi di nuovo Dio, perché
senza di Lui non possiamo costruire un Paese democratico, un Paese libero, dove siano
presenti i valori umani.