Elezioni in Serbia, favoriti i conservatori di Vučić
Elezioni legislative in Serbia. Sette milioni di cittadini al voto, oltre tremila
candidati di 19 partiti per i 250 seggi del parlamento unicamerale. Più di 700 gli
osservatori internazionali chiamati a vigilare sulle consultazioni. A Belgrado, si
vota anche per le municipali con il rinnovo dei 110 seggi dell’Assemblea locale. Favoriti
nella corsa i conservatori del vicepremier Vucic, leader del Partito del progresso
serbo (Snc), mentre l’opposizione si presenta divisa: da una parte il Partito democratico
dell’ex sindaco di Belgrado, Dragan Djilas, e dall’altro la nuova formazione dell’ex
presidente, Boris Tadić. Molte le sfide che il Paese balcanico dovrà affrontare, a
partire dall’integrazione europea fino alle scelte economiche. Ma come arriva la Serbia
all’appuntamento elettorale? Benedetta Capelli lo ha chiesto a Matteo Tacconi,
coordinatore del sito "rassegna est.com", esperto di Balcani:
R. – Arriva
con un risultato importante incassato, cioè l’avvio dei negoziati di adesione all’Unione
Europea: poi va precisato che un conto è avviarli e un conto è arrivare a un esito.
Si parla del 2020, c’è ancora tanta strada da fare... Però, questo è un risultato
che la Serbia ha incamerato, tant’è che il voto anticipato è stato convocato dopo
che c’è stato l’accordo in tal senso. La questione del Kosovo invece rimane sullo
sfondo, ma rimane sempre un nodo. C’è stato un accordo sulla normalizzazione dei rapporti
tra i due Paesi, però la tensione nelle aree serbe del Kosovo, cioè nel nord del Paese,
rimane abbastanza forte. La minoranza serba in Kosovo è arrabbiata con Belgrado, perché
sostiene di essere stata abbandonata, e Belgrado sa bene che per portare avanti il
discorso con l’Europa deve cedere sul Kosovo. Poi, c’è il discorso dell’Europa. Il
presidente Nikolic, il vicepremier Vučić e i conservatori in Serbia hanno fatto una
scelta, hanno rotto con la tradizione antieuropea e puntano sull’Europa: che sia sincera
o opportunistica, in fin dei conti, non è molto utile discuterne, perché si va avanti
su quella strada. E poi c’è l’economia: lì, secondo me, è il vero fronte, perché la
Serbia è un Paese che, come tutti i Paesi della regione e dell’intera Europa, ha attraversato
delle fasi di recessione legate alla crisi globale e al fatto che comunque dipende
dagli investimenti dall’estero. Poi, c’è anche un altro problema, perché c’è stata
una ripresa, il Pil va bene adesso e c’è il boom dell’export, ma di tutto questo i
serbi non beneficiano. L’export è fatto dalle aziende estere che hanno investito in
Serbia e non c’è una ricaduta sul fronte dei consumi interni e dell’occupazione. Il
tasso di senza lavoro è al 25%: un serbo su quattro non lavora.
D. – Quindi,
le sfide che dovrà affrontare il nuovo esecutivo si collocano più che altro nella
dimensione economica?
R. – Penso proprio di sì, considerando anche che in tutta
la regione negli ultimi anni, e da ultimo in Bosnia, si è visto che c’è grosso fermento
sociale, la gente protesta contro i governi. I Balcani sicuramente sono meglio di
come non fossero cinque, dieci, quindici o venti anni fa, ma ci sono larghe fasce
di popolazione tenute fuori dalla crescita: non si sta creando una classe media. Visto
che la Serbia è rimasta per ora immune da queste tensioni, io credo che Vučić debba
un po’ guardarsi le spalle. Se ci sono tutti questi disoccupati, se c’è questa frustrazione
sociale, non è escluso che possa aprirsi anche un fronte in Serbia da questo punto
di vista. Secondo me, Vučić cercherà di tamponarlo dispensando un po’ di politiche
paternalistiche, magari alzando un po’ le pensioni, evitando che il Fondo monetario
metta un po’ troppo il dito nella piaga. Però, il rischio è che queste siano tutte
soluzioni palliative… Sicuramente, la Serbia ha anche bisogno di uno shock riformista
e non so quanto Vučić – sempre che vinca e che trionfi con una maggioranza assoluta
– riesca a garantirlo. Il punto è questo.
D. – Ma quali sono stati gli elementi
di forza che hanno creato consenso proprio intorno a Vučić?
R. – Anzitutto,
è un uomo forte e in un Paese dove c’è una sindacalizzazione relativa, le conquiste
sociali sono relative e che rimane ancora un’idea un po’ socialista che lo Stato debba
dare, che lo Stato debba aiutare, l’uomo forte, con una verve paternalistica
prende voti. Poi, c’è anche il discorso del risultato raggiunto con l’Europa: alla
fine è un dato di fatto e sicuramente non tutti i serbi credono a questa integrazione,
ma la maggioranza sì, e avendo avviato i negoziati, questo è un punto che va a vantaggio
di Vučić.