2014-03-15 14:14:44

Elezioni in Serbia, favoriti i conservatori di Vučić


Elezioni legislative in Serbia. Sette milioni di cittadini al voto, oltre tremila candidati di 19 partiti per i 250 seggi del parlamento unicamerale. Più di 700 gli osservatori internazionali chiamati a vigilare sulle consultazioni. A Belgrado, si vota anche per le municipali con il rinnovo dei 110 seggi dell’Assemblea locale. Favoriti nella corsa i conservatori del vicepremier Vucic, leader del Partito del progresso serbo (Snc), mentre l’opposizione si presenta divisa: da una parte il Partito democratico dell’ex sindaco di Belgrado, Dragan Djilas, e dall’altro la nuova formazione dell’ex presidente, Boris Tadić. Molte le sfide che il Paese balcanico dovrà affrontare, a partire dall’integrazione europea fino alle scelte economiche. Ma come arriva la Serbia all’appuntamento elettorale? Benedetta Capelli lo ha chiesto a Matteo Tacconi, coordinatore del sito "rassegna est.com", esperto di Balcani:RealAudioMP3

R. – Arriva con un risultato importante incassato, cioè l’avvio dei negoziati di adesione all’Unione Europea: poi va precisato che un conto è avviarli e un conto è arrivare a un esito. Si parla del 2020, c’è ancora tanta strada da fare... Però, questo è un risultato che la Serbia ha incamerato, tant’è che il voto anticipato è stato convocato dopo che c’è stato l’accordo in tal senso. La questione del Kosovo invece rimane sullo sfondo, ma rimane sempre un nodo. C’è stato un accordo sulla normalizzazione dei rapporti tra i due Paesi, però la tensione nelle aree serbe del Kosovo, cioè nel nord del Paese, rimane abbastanza forte. La minoranza serba in Kosovo è arrabbiata con Belgrado, perché sostiene di essere stata abbandonata, e Belgrado sa bene che per portare avanti il discorso con l’Europa deve cedere sul Kosovo. Poi, c’è il discorso dell’Europa. Il presidente Nikolic, il vicepremier Vučić e i conservatori in Serbia hanno fatto una scelta, hanno rotto con la tradizione antieuropea e puntano sull’Europa: che sia sincera o opportunistica, in fin dei conti, non è molto utile discuterne, perché si va avanti su quella strada. E poi c’è l’economia: lì, secondo me, è il vero fronte, perché la Serbia è un Paese che, come tutti i Paesi della regione e dell’intera Europa, ha attraversato delle fasi di recessione legate alla crisi globale e al fatto che comunque dipende dagli investimenti dall’estero. Poi, c’è anche un altro problema, perché c’è stata una ripresa, il Pil va bene adesso e c’è il boom dell’export, ma di tutto questo i serbi non beneficiano. L’export è fatto dalle aziende estere che hanno investito in Serbia e non c’è una ricaduta sul fronte dei consumi interni e dell’occupazione. Il tasso di senza lavoro è al 25%: un serbo su quattro non lavora.

D. – Quindi, le sfide che dovrà affrontare il nuovo esecutivo si collocano più che altro nella dimensione economica?

R. – Penso proprio di sì, considerando anche che in tutta la regione negli ultimi anni, e da ultimo in Bosnia, si è visto che c’è grosso fermento sociale, la gente protesta contro i governi. I Balcani sicuramente sono meglio di come non fossero cinque, dieci, quindici o venti anni fa, ma ci sono larghe fasce di popolazione tenute fuori dalla crescita: non si sta creando una classe media. Visto che la Serbia è rimasta per ora immune da queste tensioni, io credo che Vučić debba un po’ guardarsi le spalle. Se ci sono tutti questi disoccupati, se c’è questa frustrazione sociale, non è escluso che possa aprirsi anche un fronte in Serbia da questo punto di vista. Secondo me, Vučić cercherà di tamponarlo dispensando un po’ di politiche paternalistiche, magari alzando un po’ le pensioni, evitando che il Fondo monetario metta un po’ troppo il dito nella piaga. Però, il rischio è che queste siano tutte soluzioni palliative… Sicuramente, la Serbia ha anche bisogno di uno shock riformista e non so quanto Vučić – sempre che vinca e che trionfi con una maggioranza assoluta – riesca a garantirlo. Il punto è questo.

D. – Ma quali sono stati gli elementi di forza che hanno creato consenso proprio intorno a Vučić?

R. – Anzitutto, è un uomo forte e in un Paese dove c’è una sindacalizzazione relativa, le conquiste sociali sono relative e che rimane ancora un’idea un po’ socialista che lo Stato debba dare, che lo Stato debba aiutare, l’uomo forte, con una verve paternalistica prende voti. Poi, c’è anche il discorso del risultato raggiunto con l’Europa: alla fine è un dato di fatto e sicuramente non tutti i serbi credono a questa integrazione, ma la maggioranza sì, e avendo avviato i negoziati, questo è un punto che va a vantaggio di Vučić.







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