Atlante delle guerre: 35 conflitti nel mondo, nove morti su dieci sono civili innocenti
E’ dedicata a Nelson Mandela la quinta edizione de “L’Atlante delle guerre e dei conflitti
del mondo”, redatto dall’associazione“ 46° parallelo ed edito da Terra Nuova. Il
volume conferma sostanzialmente lo stesso numero di conflitti rispetto allo scorso
anno e propone schede, mappe e approfondimenti sulle crisi internazionali. Ma quanti
sono le guerre oggi? Elvira Ragosta lo ha chiesto al direttore dell’Atlante,
il giornalista Raffaele Crocco:
R. – Sono 35,
almeno per quanto ci riguarda come Atlante, più sette situazioni di crisi. Un Paese
su cinque, in pratica, in questo momento, è in guerra.
D. – I conflitti sono
cambiati nel tempo: siamo passati dall’attacco chimico al cyber terrorismo…
R.
– Sì, sono cambiati soprattutto perché ormai l’obiettivo della guerra non è più il
controllo “fisico” di un terreno, di un territorio di un Paese, ma è il controllo
politico e soprattutto economico di questo Paese: piccoli eserciti, quindi, molto
efficaci, che applicano anche strategie molto dure oppure l’impiego – come accade
in Africa ad esempio – di milizie, di bande armate che servono per garantire il potere
o rovesciare il potere di governi, che sono amici o nemici, a seconda dell’interesse
che si vuole difendere.
D. – Nell’Atlante emerge la drammaticità dei costi
umanitari dei conflitti e non sempre si possono quantificare le vittime…
R.
– Il dato essenziale è che nove morti su dieci, in un conflitto moderno, sono vittime
civili, cioè donne, uomini, bambini che non hanno un’arma in mano. Alle vittime, nel
senso di morti, dobbiamo aggiungere altre vittime, che sono i profughi. In questo
momento nel pianeta, a causa delle guerre, c’è un nuovo profugo ogni quattro secondi,
cioè una persona ch deve lasciare tutto per trovare una speranza di vita altrove.
Anche queste sono, davvero, vittime della guerra.
D. – E tra le vittime ci
sono anche le donne. Come mai in questa edizione avete dedicato uno speciale a “Le
donne e la guerra”?
R. – Perché in realtà non si parla mai del rapporto delle
donne con la guerra o del modo di vedere, della visione della guerra che hanno le
donne. Le donne sono sicuramente vittime. Pensiamo ad un milione di donne che hanno
subito violenza, almeno questo è documentato negli ultimi anni, nelle ultime guerre.
Le donne sono vittime, però, anche perché il peso maggiore del conflitto cade sempre
sulle loro spalle, per riuscire a mantenere in vita la famiglia. Oggi, comunque, sono
diventate anche delle combattenti: combattono le guerre sia negli eserciti regolari
sia negli eserciti irregolari. E’ un ruolo, quindi, completamente diverso ed è una
visione della guerra utile per capire cosa sia la guerra oggi.
D. – Trattandosi
di un Atlante, nella cartografia c’è anche la Carta di Peters che ridisegna il mondo
con dimensioni diverse da quelle che conosciamo…
R. – Sì, in realtà è una visione
corretta dei Paesi, soprattutto delle grandi terre e dei continenti. Quello che fa
Peters, infatti, è assegnare ad ogni terra esattamente i chilometri quadrati, cioè
la superficie, l’esatta misura di quella terra. Rispettare le grandezze significa
rispettare il diritto dei popoli ad esistere ed esistere con una dignità. E’ una carta
molto coerente con quello che dice la Dichiarazione dei diritti universali dell’uomo,
a differenza delle proiezioni precedenti, che sono rinascimentali, e quindi hanno
una visione molto eurocentrica. E’ una visione politica del mondo, anche attraverso
la geografia, e la geografia è molto utile per capire le cose.
D. – L’Atlante
è un documento in divenire, perché ci sono guerre che fortunatamente finiscono, ma
altre che iniziano…
R. – Sì, davvero, speriamo di non dover fare una scheda
conflitto sull’Ucraina e speriamo di poter togliere anche altre schede-conflitto.
Credo che noi siamo fra i pochi autori al mondo a sperare che il nostro libro diventi
sempre più piccino fino a sparire, perché non più giustificato. La speranza è di non
doverne aggiungere.
D. – C’è un team di giornalisti specializzati che redige
le diverse sezioni dell’Atlante, ma come viene organizzato il lavoro?
R. –
C’è una specie di organizzazione di redazione, fatta da alcune persone - quattro -
che in qualche modo coordinano il lavoro di tutti, tengono i contatti e soprattutto
tengono le fila di queste discussioni, delle proposte che ci sono durante l’anno su
cosa mettere nell’Atlante, e alla fine fanno un po’ da vigili urbani: raccolgono il
materiale, lo curano, lo seguono e lo sistemano graficamente, anche dal punto di vista
dell’editing. Il lavoro è chiaramente tutto attraverso il web – fortunatamente c’è
la tecnologia - quindi skype, le e-mail o le telefonate.