Gli Stati Uniti non riconosceranno l'esito del referendum di domenica prossima in
Crimea. A proposito della crisi in Ucraina, lo ha chiarito il Segretario di Stato
Usa, Kerry, dopo il colloquio fiume di 6 ore a Londra con l’omologo russo, Lavrov.
Per il capo del Cremlino, Putin, la consultazione di domani rispetta invece le leggi
internazionali. Il servizio di Giada Aquilino:
Il referendum
per sancire la scissione della Crimea dall'Ucraina è conforme ai “principi del diritto
internazionale e della Carta dell'Onu”. Il presidente russo Vladimir Putin, in una
telefonata con Ban Ki-moon, ribadisce la posizione di Mosca, emersa anche a Londra
nei colloqui Kerry-Lavrov. Il ministro degli Esteri russo non ha nascosto che le differenze
con l’Occidente - e quindi con gli Usa - “permangono” e che non c’è una “visione comune”.
“Non è nei piani di Mosca - ha aggiunto - invadere l'est dell’Ucraina”, a maggioranza
russofona. Altrettanto chiari, ma su posizioni diverse, sia il presidente statunitense
Barack Obama, che pur sperando ancora in una soluzione diplomatica ha parlato, in
caso contrario, di conseguenze “inevitabili” per Mosca, sia il segretario di Stato
Kerry, che ha evocato “sanzioni”: “non riconosceremo l'esito del referendum in Crimea”,
ha dichiarato, riferendosi a trasgressioni al diritto internazionale, come hanno fatto
anche Unione europea e Nato. Intanto, mentre l’Onu parla di violazione della libertà
d’espressione in Crimea, pure i filorussi di Kharkiv, l'ex capitale dell’Ucraina,
hanno annunciato di voler organizzare per domenica prossima un loro referendum per
l'annessione a Mosca. E sui cieli della Crimea, secondo i russi, sarebbe stato intercettato
un drone statunitense. La crisi in Ucraina infine penalizza le borse, anche se in
chiusura quelle europee hanno ridotto le perdite registrate in mattinata.
La
situazione ucraina sta dunque avendo conseguenze negative sui mercati finanziari,
con il crollo delle principali Borse, in particolare quella di Mosca. Eugenio Bonanata
ne ha parlato con Margherita Paolini,coordinatrice scientifica
di Limes:
R. – Questo
era inevitabile che si verificasse, perché viviamo ormai in un mondo globalizzato
e gli interessi del mondo occidentale in Russia, così come quelli russi ne mondo occidentale,
ormai sono abbastanza ben ramificati da diversi anni. Magari l’interscambio è molto
più forte con quello europeo, ma c’è anche con il sistema americano. Il problema,
quindi, è che si possano infliggere delle sanzioni – per ora minacciate, poi via via
sempre più approfondite. C’è una specie di guerra a bassa intensità che certamente
può avere conseguenze economiche più gravi per la Russia che già da qualche tempo
– non solo in coincidenza con la crisi ucraina – aveva risentito di una situazione
finanziaria non dico traballante, ma molto incerta.
D. – Ci potrebbero essere
conseguenze negative anche sul fronte del gas, un capitolo delicato per tutta l'Europa?
R.
– Però, c’è una differenza sostanziale tra i Paesi europei del Nord e quelli del Sud,
perché i Paesi del Nord hanno dei gasdotti che passano fuori dall’Ucraina, proprio
per una volontà precisa di Mosca di bypassarla in direzione dei clienti più importanti,
come la Germania. E non solo per il gas, ma anche per il petrolio: la Germania è il
primo importatore di petrolio russo. Il problema è, invece, per quelli del sud-mediterraneo.
E siamo noi, alla fine, tra i Paesi del Sud che prendiamo la quota più rilevante del
gas che passa attraverso l’Ucraina: ne importiamo 25 miliardi di metri cubi. E non
pensiamo che ora, perché sta avvicinandosi la primavera, il discorso si renda più
lieve, perché in estate se ne consuma quasi quanto in inverno, in quanto quello che
non si consuma in riscaldamento si consuma per i refrigeratori. Quindi, bisogna essere
molto attenti. Abbiamo anche pochissimo gas che viene dal Mediterraneo: tutte le nostre
forniture tradizionali si sono illanguidite. C’è la situazione libica, e anche l’Algeria
che in questo momento produce meno di quello che avrebbe dovuto perché non ha avuto
investimenti sufficienti per mettere in produzione nuovi giacimenti. Insomma, diciamo
che la situazione è un po’ critica. Quindi, speriamo che questa cosa si risolva. Però,
l’Italia in questo ambito deve cercare di svolgere una parte importante, insomma,
che sia di pressione ma anche di mediazione, per evitare uno scenario di questo tipo.
D.
– Quante sono le possibilità che qualcuno interrompa il flusso di gas verso l’Occidente?
R.
– Parecchie. Qui si sta facendo un gioco al rialzo; magari, molto è tattico ma non
sappiamo quanto poi ad un certo punto possa diventare vero. La Russia potrebbe chiudere
i rubinetti ai Paesi occidentali, come conseguenza delle sanzioni, ovvero potrebbe
essere l’Ucraina che chiude i rubinetti per fare un ricatto forte alla Russia. Oppure
la Russia che ha timore di far passare il gas per l’Europa, visto che bloccherebbe
quello dell’Ucraina attraverso il territorio dell’Ucraina stessa. Però, siccome l’uscita
di questi tubi è proprio in zone occidentali molto russofone, questo può impedirne
il transito.
D. – Cosa dire del referendum di domenica?
R. – Dovrebbe
essere un referendum ad alta frequenza, insomma, perché la maggioranza della popolazione
è su questa lunghezza d’onda. Però, teniamo conto che ci sono anche dei gruppi come
appunto i tatari, che sono assolutamente contrari; ci sono delle perplessità. Certamente
sarebbe vinto, ma è un processo che viene completamente negato, in questi termini,
dal governo centrale ucraino. Quindi, quale sostenibilità può avere questa cosa? Anche
per la stessa Russia lascia il discorso della base di Sebastopoli comunque in un limbo
pericoloso. Forse la proposta che può venire da Kiev di farne invece una cosa autorizzata,
sebbene in termini più blandi, potrebbe essere più sicura perché anche sul fronte
terrorismo ci sono già minacce da parte di frange legate ai movimenti islamisti del
Caucaso di entrare in un conflitto a bassa intensità. Quindi è molto pericoloso e
non so quanto convenga entrare in questo tunnel.