Siria. Mons. Zenari: serve il coraggio di idee nuove per uscire dal dramma
“Una catastrofe umanitaria inconcepibile”, così l’Onu definisce la situazione in
Siria alla vigilia del terzo anniversario dall’inizio della crisi che ha prodotto,
secondo gli ultimi dati, più di 9 milioni di sfollati e 3 milioni di civili ancora
intrappolati in aree circondate dalla violenza. E sul futuro ieri il Presidente Assad
ha espresso la sua sfiducia, bocciando la Conferenza di "Ginevra 2" come un "terreno
non valido per una soluzione pacifica”. Dunque, una Siria ferita e divisa, davanti
alla quale però "non possiamo perdere la speranza": questo in sintesi il pensiero
del nunzio apostolico a Damasco, mons Mario Zenari, intervistato da Gabriella
Ceraso:
R. – Proprio
in questi giorni, fuori Damasco vedevo la primavera che sta arrivando con irruenza,
i mandorli in fiore, e pensavo: quand’è che si vedrà la cosiddetta Primavera araba,
una Siria rinnovata, che è poi nell’intenzione e nel desiderio di tutti? Purtroppo,
qui da tre anni la gente invece si trova con un gelo, con queste statistiche terribili.
Però, di fronte a questo quadro, credo che non dobbiamo perdere la fiducia, la speranza,
quello che continuamente insomma ci dice il Santo Padre e che recentemente anche i
vescovi cattolici di Siria, riuniti in Assemblea plenaria, hanno richiamato, incoraggiando
i fedeli a mantenere la fiducia, a fare leva sulla forza della preghiera e a dare
la testimonianza della solidarietà in questo momento così difficile.
D. – Tutte
le grandi organizzazioni che sono attive in Siria, oltre a dare dati, in queste ore
lanciano appelli, chiedono azioni urgenti, chiedono di mettere in campo tutte le azioni
possibili. Se lei dovesse fare un appello alla diplomazia internazionale che sembra
allo stallo dopo "Ginevra 2", cosa si sentirebbe di dire?
R. – Direi questo:
lavoriamo tutti quanti affinché si trovi il modo di sbloccare questa situazione. C’è
bisogno di avere coraggio per cercare possibilità sempre nuove per uscire da questo
tunnel.
D. – Che fine ha fatto quel pluralismo così ricco, così bello, il pluralismo
religioso e etnico della Siria?
R. – Io voglio sperare che non sia andato perduto.
Questa convivialità, in particolare tra musulmani e cristiani era esemplare: è stata
molto disturbata in questi ultimi due anni da questo estremismo. Ma, voglio sperare,
che possa essere restaurata.
D. – In particolare, i cristiani siriani hanno
risentito di questo clima cupo che si è creato in questi tre anni, facendo molto,
ma anche pagando un duro prezzo. Cosa dire loro?
R. – I cristiani hanno sofferto
come tutti i cittadini siriani. Sono stati sotto i bombardamenti, hanno dovuto spostarsi,
sono sfollati interni. L’ultimo di questi tre anni di conflitto è stato un po’ più
duro per loro in certe località. Quindi, farei leva ancora su questo messaggio di
speranza dei vescovi siriani che incoraggiano a cercare, nel limite del possibile,
di rimanere qui, nella loro terra. I cristiani rappresentano, per così dire, un’apertura,
una finestra sul mondo, con il loro sentimento così universale. Ho sentito anch’io
dei capi religiosi musulmani che si sono detti dispiaciuti di certi attacchi che certe
comunità cristiane hanno subito, che hanno rigettato certi comportamenti da parte
di estremisti. Inoltre, vogliono e desiderano che i cristiani rimangano.
D.
– Come vede oggi la Siria a tre anni dall’inizio della rivolta? Un Paese diviso e
in rovina, che lotta per la sopravvivenza?
R. – Ci sono delle immagini che
colpiscono, immagini e statistiche che veramente fanno male. Credo, naturalmente,
sia necessario vedere anche la reazione che c’è da parte di tanta gente che non accetta
questa situazione e che dice “Basta!” a questo clima di violenza. Spero che questa
maggioranza silenziosa, che per il momento non ha la possibilità di esprimersi a tutti
i livelli sociopolitici, possa emergere sempre di più.