Ban Ki-moon: in Siria c’è l’incapacità di fermare l’orrore, serve maggiore impegno
Nel 2013 la guerra in Siria ha visto l'uso più massiccio di armi di distruzione di
massa del 21esimo secolo, un orrore che siamo incapaci di fermare, serve maggiore
impegno. Così, in sintesi, il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, commentando
la crisi nel Paese, ancora stretto dalla morsa del conflitto tra oppositori del regime
e militari. Ogni giorno, da tre anni, sono decine i morti, enorme il flusso dei profughi,
molti dei quali ospitati in Libano. E proprio nel Paese dei cedri è alta l’emergenza
come conferma, al microfono di Massimiliano Menichetti, il prof Aldo Morrone
Direttore Generale dell’Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini di Roma, appena
rientrato da Beirut per una missione di assistenza internazionale:
R. – Io sono
stato proprio nella periferia di Beirut: sono andato nel sud, tra Tiro e Sidone, e
sono poi andato nella Valle della Bekaa. Devo dire che in ogni luogo abbiamo trovato
una condizione di grande dignità ma di grande sofferenza, soprattutto per quanto riguarda
il sovraffollamento e il freddo. C’è poi il grande problema dell’alimentazione: non
c’è cibo per tutti. C’è il problema dell’acqua potabile e delle malattie correlate
come la diarrea infantile, c’è una pesante diffusione delle malattie infettive tra
i bambini, cominciando dalle malattie esantematiche, alle malattie cutanee. Poi, devo
dire che c’è una malattia su cui l’Oms sta molto lavorando che è la scabbia. Mentre
in Occidente è una malattia che non determina alcun problema, se non il prurito o
il contagio, in queste aree può determinare delle infezioni che diventano sistemiche
e possono portare alla morte. Tanto per essere molto chiari: quello che da noi può
essere un banale raffreddore, una banale sindrome influenzale, qui diventa una situazione
drammatica, sia per la mancanza di farmaci, sia per la mancanza di cibo e – se mi
consente – di affetti e di relazioni che lì vengono spezzate.
D. – Che cosa
serve nell’immediato?
R. – Serve sicuramente un investimento per le emergenze,
purché l’emergenza venga governata in una prospettiva di sistema. Non possiamo, nei
campi profughi, dare aiuti soltanto ai bambini siriani e non ai bambini poveri libanesi…
D.
– Questo perché il Libano ha aperto le sue porte, ma è già gravato da una pesante
condizione interna di povertà…
R. – Assolutamente sì! Teniamo conto che è una
ospitalità pesante. In Libano, ci sono quattro milioni e mezzo di abitanti e ci sono
circa un milione e 600-700 mila profughi. E’ una cifra che il Libano non può assolutamente
gestire. Ecco la necessità della presenza di organizzazioni internazionali, ecco la
necessità – a mio parere – di trovare una soluzione pacifica al conflitto in Siria
per riportare la situazione nei confini della dignità e della pace. Adesso, poi, c’è
anche un governo il Libano – dopo tanti mesi finalmente si è fatto un esecutivo di
grandi alleanze – e questo può essere un elemento in più, però il Libano da solo non
ce la può fare, se non c’è anche un aiuto serio, impegnativo e programmatico internazionale.
D.
– Seppure in questa situazione difficile, lei ha visto tanta solidarietà…
R.
– Voglio essere testimone dell’impegno delle donne libanesi, che in molte aree ospitano
a casa propria, senza alcun benefit, donne e bambini siriani proprio per evitare
che queste persone finiscano nei campi, con tutta la sofferenza e il dolore che poi
ne consegue. Queste donne mi hanno impressionato per il loro esempio di solidarietà
e per il loro gesto di grande umanità di accogliere all’interno delle loro case, già
piccole e strette, altre donne con altri bambini: credo di aver visto un gesto profetico.
Davvero lo ho percepito come un dono di Dio nei confronti delle altre persone e mi
è sembrata una testimonianza profonda del Vangelo.