Drammatica situazione dei siriani nei campi profughi del Libano, la solidarietà delle
donne
L’emergenza umanitaria in Siria è la più grave degli ultimi 10 anni. Così Andrea Iacomini,
portavoce di Unicef Italia, commentando la crisi nel Paese ancora stretto dalla morsa
del conflitto tra oppositori del regime e militari. Ogni giorno, da tre anni, sono
decine i morti, enorme il flusso dei profughi, molti dei quali ospitati in Libano.
E proprio nel Paese dei cedri si intreccia solidarietà ed emergenza come conferma,
al microfono di Massimiliano Menichetti, il prof. Aldo Morrone, direttore
generale dell’Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini di Roma, appena rientrato
da Beirut per una missione di assistenza internazionale:
R. – Io sono
stato proprio nella periferia di Beirut: sono andato nel sud, tra Tiro e Sidone, e
sono poi andato nella Valle della Bekaa. Devo dire che in ogni luogo abbiamo trovato
una condizione di grande dignità ma di grande sofferenza, soprattutto per quanto riguarda
il sovraffollamento e il freddo. C’è poi il grande problema dell’alimentazione: non
c’è cibo per tutti. C’è il problema dell’acqua potabile e delle malattie correlate
come la diarrea infantile, c’è una pesante diffusione delle malattie infettive tra
i bambini, cominciando dalle malattie esantematiche, alle malattie cutanee. Poi, devo
dire che c’è una malattia su cui l’Oms sta molto lavorando che è la scabbia. Mentre
in Occidente è una malattia che non determina alcun problema, se non il prurito o
il contagio, in queste aree può determinare delle infezioni che diventano sistemiche
e possono portare alla morte. Tanto per essere molto chiari: quello che da noi può
essere un banale raffreddore, una banale sindrome influenzale, qui diventa una situazione
drammatica, sia per la mancanza di farmaci, sia per la mancanza di cibo e – se mi
consente – di affetti e di relazioni che lì vengono spezzate.
D. – Che cosa
serve nell’immediato?
R. – Serve sicuramente un investimento per le emergenze,
purché l’emergenza venga governata in una prospettiva di sistema. Non possiamo, nei
campi profughi, dare aiuti soltanto ai bambini siriani e non ai bambini poveri libanesi…
D.
– Questo perché il Libano ha aperto le sue porte, ma è già gravato da una pesante
condizione interna di povertà…
R. – Assolutamente sì! Teniamo conto che è una
ospitalità pesante. In Libano, ci sono quattro milioni e mezzo di abitanti e ci sono
circa un milione e 600-700 mila profughi. E’ una cifra che il Libano non può assolutamente
gestire. Ecco la necessità della presenza di organizzazioni internazionali, ecco la
necessità – a mio parere – di trovare una soluzione pacifica al conflitto in Siria
per riportare la situazione nei confini della dignità e della pace. Adesso, poi, c’è
anche un governo il Libano – dopo tanti mesi finalmente si è fatto un esecutivo di
grandi alleanze – e questo può essere un elemento in più, però il Libano da solo non
ce la può fare, se non c’è anche un aiuto serio, impegnativo e programmatico internazionale.
D.
– Seppure in questa situazione difficile, lei ha visto tanta solidarietà…
R.
– Voglio essere testimone dell’impegno delle donne libanesi, che in molte aree ospitano
a casa propria, senza alcun benefit, donne e bambini siriani proprio per evitare
che queste persone finiscano nei campi, con tutta la sofferenza e il dolore che poi
ne consegue. Queste donne mi hanno impressionato per il loro esempio di solidarietà
e per il loro gesto di grande umanità di accogliere all’interno delle loro case, già
piccole e strette, altre donne con altri bambini: credo di aver visto un gesto profetico.
Davvero lo ho percepito come un dono di Dio nei confronti delle altre persone e mi
è sembrata una testimonianza profonda del Vangelo.