Chi si laurea trova più facilmente un impiego: un'indagine di AlmaLaurea
Valorizzazione delle risorse umane del Paese è il tema centrale della 16.ma indagine
svolta da AlmaLaurea sulla condizione occupazionale dei laureati. La ricerca ha coinvolto
450 mila laureati di 64 Università diverse intervistati a uno, tre e cinque anni dall’acquisizione
del titolo. Ascoltiamo Andrea Cammelli, direttore di AlmaLaurea al microfono
di Maura Pellegrini Rhao:
R. - La cosa
importante che emerge è che i laureati, a cinque anni dalla laurea, hanno un tasso
di disoccupazione molto modesto - l’8% soltanto - naturalmente in modo diversificato
tra i vari corsi di laurea. Questo vuol dire che quello che si è ripetuto a lungo,
ovvero che laurearsi non serve, è in qualche modo destituito di ogni fondamento perché
i laureati lavorano molto di più dei diplomati o di coloro con diplomi di scuole secondarie.
Purtroppo guadagnano meno, ma la cosa importante che emerge è che laurearsi serve
molto e serve soprattutto se qualcuno fa studi all’estero e stage in aziende
durante il percorso di studi.
D. - I principali dati negativi emersi?
R.
- E’ vero che c’è un ritardo nell’occupazione, che abbiamo registrato molto più pronunciato
di quanto non avvenga negli altri Paesi europei. Abbiamo bisogno di arrivare almeno
a cinque anni affinché un laureato possa trovare una giusta collocazione. Il nostro
Paese è purtroppo in queste condizioni: un Paese nella quale gran parte dei manager
purtroppo non hanno superato la scuola dell’obbligo, quindi per loro è più difficile
riuscire a utilizzare bene il laureato che è formato. Uno studio della Banca d’Italia
mette in evidenza che il manager laureato assume tre volte di più i laureati rispetto
al manager che non è laureato, nella stessa azienda, con le stesse caratteristiche.
Questo vuol dire che purtroppo il manager che non è laureato è molto preoccupato che
il giovane conosca le lingue straniere, che conosca l’informatica: che si metta quindi
in qualche modo in una condizione di poca valorizzazione. Noi rischiamo di perdere
i migliori laureati che vanno all’estero e questo è naturalmente un elemento negativo.
Evidentemente, il Paese perde anche occasioni straordinarie per migliorare se stesso.
D.
- Qual è la reale importanza delle università nella promozione dell’innovazione e
dell’imprenditorialità?
R. - Fino al 2000, facevano stage in azienda
meno di 10 laureati su 100 e terminavano gli studi regolarmente meno di 10 laureati
su 100. Oggi, è cresciuta moltissimo la percentuale di laureati che terminano gli
studi in regola, attorno al 40% ed attorno al 65% entro un anno di ritardo. Soprattutto,
quello che avviene è una cosa molto importante: la gran parte dei laureati finalmente
riesce a fare stage in azienda, che vuol dire mettere insieme non soltanto
una cultura di carattere generalista, ma mettere insieme anche una cultura che possa
servire esattamente alle aziende per conoscere meglio il prodotto finito di ogni università.
D.
- Vogliamo ricordare dunque il valore dello studio?
R. - Santa Chiara nel 1300
diceva: “Studiate, studiate!”. Conoscere bene le cose vuol dire diventare più grandi.
Lo ha ripetuto anche il nostro ex presidente della Repubblica, Luigi Einaudi, che
diceva: “Conoscere per governare è fondamentale”. Altrimenti, il rischio forte è quello
di fare “sciocchezze”, continuare a essere un Paese in ritardo rispetto a quelle che
sono le condizioni migliori.